E SE IL QUADRO DELLA CRISI ECONOMICA FOSSE UN FALSO
DI AUTORE?
di
Daniela Zini
Da ultimo, la
sociologia scruta, attentamente, i sondaggi elettorali.
Per il grande
pubblico, i sondaggi si sbagliano nelle loro previsioni, ma uno sguardo più
attento rivela che, forse, non è, proprio, così.
I sondaggi, anche
se formulano previsioni giuste, producono nella società, che li consuma,
autorealizzazioni e autonegazioni, che modificano il risultato finale delle
elezioni.
I partiti
politici si sono volti verso questi strumenti, che, convenientemente,
utilizzati possono far vincere o perdere le elezioni.
Si tratta allora
di chiederci:
“Noi siamo altrettanto manipolabili?”
Esiste in
sociologia una teoria chiamata dell’autorealizzazione che afferma che se una previsione
errata è resa pubblica ed è considerata come vera dai membri di una società,
questa profezia si realizzi. A esempio, immaginiamo uno scenario economico, in
cui tutto indichi che la crescita si mantenga e, nel contempo, il ministro
dell’economia lanci un falso annuncio, che riveli che siano stati percepiti
segnali di rallentamento della crescita e di una probabile crisi.
Ciò è
evidentemente falso, ma proviene da una fonte socialmente attendibile.
Dall’annuncio
pubblico del messaggio, è possibile che, per precauzione, chi avrebbe voluto
investire in un nuovo affare non investa e chi avrebbe voluto fare un acquisto
importante non lo faccia.
Quale conseguenza
del rallentamento degli investimenti e del consumo, sorge la crisi.
La profezia era
falsa, ma si è autorealizzata.
La politica non
sfugge a questo fenomeno e cerca anche di profittarne.
Nelle democrazie,
dette occidentali, gli elettori si dividono in due gruppi: quelli che hanno un
voto deciso, invariabile e non si astengono quasi mai, e quelli chiamati gli indecisi,
che votano in modo variabile. La struttura del sistema elettorale, coniugato a diverse circostanze politiche, fa in
modo che la maggioranza del gruppo sociale degli elettori decisi si divida tra
i due grandi partiti di centro-sinistra e di centro-destra, quelli che sono i
soli in grado di “prendere il potere”.
Ma la loro
vittoria dipende da un altro gruppo sociale: gli indecisi.
Conoscendo le
teorie dell’autorealizzazione, non è sorprendente constatare che la maggior
parte degli studi sociologici abbia rivelato che questo voto, indeciso fino
all’ultimo minuto, vada, infine, al partito che ha più possibilità di vincere.
Quello che è – se non in caso di disastri e di crisi – il partito al potere.
A patto che la
vita dell’indeciso sia relativamente tranquilla, il suo voto, se vota, andrà,
quasi sempre, al governo.
È la ragione per
cui è così difficile “far sloggiare” un partito al potere, fuorché nei casi di
scomparsa di detto partito, di crisi economica o istituzionale, di guerra o di disastro
naturale. E, anche in questi casi, l’elettore indeciso preferisce l’astensione
all’opposizione.
Le previsioni si
autorealizzano e la presunzione di vittoria produce la vittoria.
Per questa
ragione, ogni gruppo mediatico o politico gonfia i sondaggi a suo favore.
O almeno ciò
dovrebbe essere così.
Ma non è così
semplice, perché esiste anche un fenomeno chiamato: autonegazione.
Proclamare la
propria vittoria è, dunque, necessario, ma rischioso.
I due grandi
partiti politici di qualsiasi democrazia occidentale si battono per i voti
centristi, ciò che è la forma politicamente corretta per indicare gli indecisi.
Nella loro ricerca del centro, leggono i sondaggi, cercano forme per autorealizzare
risultati favorevoli e lanciano messaggi semplici, poco rischiosi per timore
dell’autonegazione.
A poco a poco, i
sondaggi, le loro autorealizzazioni e le loro autonegazioni occupano la
biblioteca e prendono il posto delle ideologie e dei progetti.
Io non sono una
esperta in questioni economiche e finanziarie e neppure una adepta del
complotto permanente, cui i cittadini sarebbero confrontati… per cui mi chiedo:
“E se la crisi finanziaria non servisse che a smantellare
gli ultimi servizi pubblici e a addomesticare i salariati?”
È dall’inizio
della crisi finanziaria che ho il sospetto – alcuni lo giudicheranno, forse, naïf – che questa crisi
non abbia che due vere funzioni, due grandi obiettivi:
-
indurre i Paesi, che ne forniscano ancora, a smantellare,
definitivamente, gli ultimi servizi sociali, a venderli, che si tratti di
trasporti, di distribuzione di energia, di poste, di salute, di protezione
sociale, ecc. Una vendita che li renderebbe miracolosamente redditizi a spese
del “servizio” reso. La privatizzazione e la riduzione del deficit fanno parte delle condizioni – di fatto, esigite – per aiutare
Paesi o garantire i loro debiti. Nelle condizioni imposte, io non ho sentito
parlare – probabilmente non sono stata abbastanza attenta – di aumento di
esazioni per le imprese o le banche, imposto dalla Banca Centrale Europea, dal
Fondo Monetario Internazionale o dalla Riserva Federale Americana;
-
indurre i salariati ad accettare sempre più elasticità e
sempre più flessibilità, per riprendere quelle parole strane che caratterizzano,
in effetti, un nuovo diritto di licenziamento più “spiccio”. E sempre meno
protezione sociale e indennità di disoccupazione.
Poi, escluse
alcune persone, banche e istituzioni, che potrebbero bruciarsi giocando con il
fuoco, tutto tornerebbe normale… ma non per salariati e pensionati.
Agli economisti
dire se io farnetico, a causa dell’effervescenza della febbre, o pongo due
buoni interrogativi?
Daniela Zini
Copyright © 13 maggio 2012 ADZ
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