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martedì 11 aprile 2017

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sabato 8 aprile 2017

LETTERE DALLA SIRIA Lettera 11 24 aprile 2012 (traduzione di Daniela Zini)



LETTERE DALLA SIRIA
Lettera 11

24 aprile 2012

Prima di essere trasferita alla scuola dove lavoro attualmente, io insegnavo in uno stabile dalla scolaresca omogenea: la maggioranza dei miei allievi erano figli di soldati e di ufficiali dell’esercito.
La vigilia delle vacanze dell’‘Eid al-Fitr, che segna la fine del mese del Ramadan, entrai nella mia classe di quarta.
Non vi trovai che dieci alunni, un numero inferiore a quello richiesto per fare lezione.
Uno di loro propose, allora, che Haydar ci cantasse qualcosa.
Mi sedetti in un banco e Haydar prese il mio posto.
Intonò la sua canzone.
Era una canzone rap.
Aveva una bella voce, ma le parole mi sconvolsero: 
“Andremo tutti a ucciderli, con la spada dell’Imam Ali, ci vendicheremo, li stermineremo…”
E altre cose del genere.
L’incredibile è che i suoi compagni ripetevano le parole dietro di lui.
Chiesi loro chi fosse il cantante.
Mi dissero il suo nome.
Aggiunsero che le sue cassette si trovavano ovunque sul mercato di Massaken, il quartiere abitato dagli ufficiali dell’esercito e dei servizi segreti.
L’indomani, il primo giorno della festa di rottura del digiuno, si decise di andare a visitare alcune famiglie di martiri.
In una di queste, trovammo Mohammed, che aveva la stessa età di Haydar. Sua madre ci disse che aveva preso il posto di suo padre e che, ormai, era lui “l’uomo di casa”.
Tredici anni di età, non era andato a scuola quell’anno.
Non aveva aperto neppure un quaderno a causa di quanto era accaduto a suo padre.
Su richiesta di sua madre, ci mostrò il video in cui si vedeva in quali condizioni avessero riportato a casa il cadavere di suo padre, due giorni dopo il suo arresto.
Il bambino si comportava come un uomo.
Ci mostrò le immagini, indicando con il cursore del mouse i punti del cadavere, come fosse stato un medico legale.
Mostrò il volto sfigurato di suo padre.
Le orbite vuote al posto degli occhi.
Ci spiegò come avessero fracassato le sue ginocchia, ci mostrò le tracce dei chiodi sulle sue braccia, il suo petto squarciato…
Volsi lo sguardo.
Guardai il bambino.
Guardavo Mohammed e pensavo al mio allievo Haydar, che aveva la sua stessa età e gli somigliava così tanto! 

(traduzione di Daniela Zini)

giovedì 16 febbraio 2017

LETTERE DALLA SIRIA Lettera 10 20 aprile 2012 (traduzione di Daniela Zini)



 LETTERE DALLA SIRIA

Lettera 10



20 aprile 2012



“Cosa ne pensate dei bambini che manifestano?”,

ha domandato Soha.

Qualcuno ha risposto:

“E perché non dovrebbero manifestare? I bambini non hanno, anche loro, il diritto di partecipare alla costruzione del loro avvenire?”

Una donna ha soggiunto:

“Non si possono mettere al riparo i bambini di ciò che accade, soprattutto nei quartieri in rivolta. Questi bambini hanno visto, almeno, le retate nelle loro case, l’arresto dei loro familiari, i proiettili sparati colpendo a caso... che hanno raggiunto, loro e i loro familiari, fino a casa loro.”

Qualcuno ha rincarato:

“Le mogli di prigionieri e le vedove dei martiri non riescono più a trattenere i loro figli. Soprattutto i ragazzi.”

Pensavo a tutti i bambini che avevo conosciuto da quando avevo iniziato a fare le visite a casa loro, un anno fa, e di cui mi avevano raccontato la storia.   

Hadi ha quattro anni. Vi erano state retate, di continuo, a casa sua, perché cercavano suo padre che era fuggito. Sua madre ci aveva raccontato come, una mattina, un commando avesse saltato il muro esterno della casa. Erano più di dieci uomini in uniforme militare. Avevano puntato i loro fucili sulle due figlie e sul bambino. La madre era a quel punto del racconto quando il piccolo l’aveva interrotta:

“Facevano così!”,

(Puntando su di noi il suo fucile di plastica.)



“Allora, io mi sono alzato e ne ho colpito uno così!”,

(Dando una gomitata nell’aria.)

“Poi, io gli ho preso il fucile dalle mani e… tac tac tac!

Rifletté un istante e aggiunse :

“No… tranne uno… No, no… tranne due!” 

Noi ci siamo, a lungo, chieste perché avesse “risparmiato” quei due soldati. E, poiché era fuori luogo porgli la domanda, noi siamo giunte alla conclusione che gli avessero, forse, sorriso…



P.S.

Io stavo per dimenticare di dirti che, alla fine della conversazione, noi ci siamo trovate d’accordo sul fatto che il primo diritto dei bambini è il diritto di vivere…


(traduzione di Daniela Zini)







domenica 12 febbraio 2017

LETTERE DALLA SIRIA Lettera 9 22 marzo 2012 (traduzione di Daniela Zini)



LETTERE DALLA SIRIA

Lettera 9

22 marzo 2012

Buongiorno!
Ieri, sono andata con un’amica a trovare, nella periferia di Damasco, una nostra conoscente. Quest’ultima ci ha proposto di andare a fare le condoglianze alla madre di un giovane ucciso, una settimana prima.
Era impossibile rifiutare.
Abbiamo portato dei fiori, perché era la festa della mamma.
Si è seduta di fronte a noi.
Per avviare la conversazione, le abbiamo chiesto cosa fosse accaduto.
Ha risposto che non le avevano reso il corpo di suo figlio.
I notabili della città erano andati alla sede dei mukhabarat [servizi segreti] e all’ospedale militare, dove era, forse, deceduto; ma si erano sentiti rispondere che non era là. Avevano chiesto a tutte le sedi dei mukhabarat [servizi segreti] e a tutti gli ospedali, ma tutti avevano negato di ospitare il giovane o di essere in possesso del suo cadavere.
Ci ha raccontato che era, già, stato arrestato, due volte, e che i segni delle torture erano stati, sempre, visibili sul suo corpo.
“Un giorno, mi ha detto che era mille volte meglio morire che essere arrestati. La terza volta che sono venuti a cercarlo, è fuggito di casa. Si è nascosto in una fattoria con alcuni amici. Ma le forze di sicurezza li hanno circondati. Hanno cercato di salvarsi in auto, ma sono stati colpiti da un colpo di mortaio. Quattro di loro, che stavano sul sedile posteriore, sono stati uccisi sul colpo. Non ne rimanevano che tre, compreso lui. Ma era ferito e sanguinava. Ha detto ai suoi amici, che lo avevano portato a una certa distanza: 
“Lasciatemi e salvatevi. È preferibile che voi due vi salviate anziché morire tutti e tre.”
Allora, lo hanno lasciato recitare le due chahadas, e sono fuggiti via. È da loro che ho appreso la storia.”
Gli stessi giovani avevano raccontato a sua madre che, sul cammino, avevano visto un custode che lavorava in una fattoria vicina, al quale avevano affidato il ferito.
La madre era andata a chiedere a quell’uomo.
Le aveva risposto che i carri avevano portato via il giovane.
Non ha rivisto il corpo di suo figlio.
Non sa dove si trovi.
Concluse la sua storia con un lungo sospiro.
Poi, ci guardò e disse:
“Forse, è vivo…
Forse, è riuscito a fuggire da solo…
Forse, il custode lo ha raccolto e lo ha curato senza dirmelo…
Forse, nel carro, vi era un soldato buono, che si è mosso a compassione e lo ha portato da qualche parte perché lo curassero…”
Poi, abbassò la testa e le lacrime colarono dagli occhi:
“O, forse, è morto e hanno utilizzato il suo corpo per le esplosioni di piazza Tahrir…
Talvolta, mi dico che hanno, forse, preso i suoi organi, perché era, ancora, vivo.
O, allora, forse…”
Le lacrime la soffocavano e noi piangemmo insieme a lei.
Sì, tutte queste ipotesi sono verosimili.  
E, forse, non accadono che in Siria.


 (traduzione di Daniela Zini)