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Informazioni personali

venerdì 26 agosto 2011

LETTERE DALL'IRAN: LETTERA DI FARZAD KAMANGAR

LETTERE DALL’IRAN
Oggi vi propongo la traduzione della:

LETTERA DI FARZAD KAMANGAR

Buongiorno ragazzi,
tutti, tutti voi mi siete mancati. Qui, io compongo canzoni di vita grazie ai dolci pensieri e ricordi che mi avete lasciato. Ogni giorno, invece di salutare voi, io saluto il sole. Al di là di questi alti muri, io mi sveglio con voi, mi diverto con voi e mi addormento con voi. Di tanto in tanto, il mio essere si accende, in ogni sua fibra, di “qualcosa che somiglia alla nostalgia”.

Vorrei, come un tempo, poter rientrare stanco da quelle che chiamavamo escursioni tra i campi, sfinito da tutto il chiasso, sbarazzare della polvere gli abiti nell’acqua limpida delle sorgenti del nostro villaggio. Vorrei poter origliare “il rumore della corrente”, mentre mi abbandono alla leggera carezza delle fronde e dei fiori, fare lezione nella fantastica sinfonia della natura e lasciare sotto una pietra i nostri libri di matematica, pieni di incognite, perché, quando un padre non può far fronte ai bisogni della propria famiglia, che importanza ha che pi greco equivalga a 3,14 o a 100,14.

Vorrei poter, come un tempo, lasciare da parte le nostre lezioni di scienze, piene di tutte le formule chimiche e fisiche del mondo, per poter salutare le nuvole che tappezzano il cielo, mano nella mano, nella brezza, in un mutare di amore e di miracolo. Attenderemo, impazientemente, il cambiamento perché Kurosh, il vostro entusiasta compagno di classe, non sia costretto ad abbandonare gli studi per lavorare, a correre su e giù per i palazzi per guadagnarsi la vita e a lasciarci. Avremmo potuto attendere questo cambiamento che dovrebbe portarci un paio di scarpe nuove, un abito nuovo e una tavola ricca di dolciumi e di ghiottonerie per il Nouruz.

Vorrei poter, ancora una volta, lontano da un direttore accigliato, scandire il nostro alfabeto curdo, recitare poesie nella nostra lingua madre, cantare e, mano nella mano, danzare, danzare e danzare.   

Vorrei poter essere di nuovo il portiere dei ragazzi di primo anno, per farvi sognare di essere Ronaldo, che segna un goal al proprio maestro, e abbracciarvi. Purtroppo, voi ignorate che nella nostra patria, i sogni e i desideri sono fuggiti sotto la polvere del tempo, prima che i nostri ritratti potessero esserne ricoperti. Vorrei poter essere l’attore fisso dello spettacolo delle ragazze di primo anno che recitano Amu Zanjir Baf. Io so che queste ragazze scriveranno, segretamente, a margine del loro diario intimo, tra qualche anno:
“Io non vorrei essere nata donna.”

Io so che siete cresciute, che vi sposerete, ma per me, restate quegli angeli puri e innocenti, i cui begli occhi portano il ricordo del bacio di Ahura Mazda.
Chissà?
Forse, voi, angeli, se non foste nate nel dolore e nella povertà, raccogliereste firme per la campagna a favore dei diritti delle donne. Se non foste nate in questo luogo dimenticato da Dio, se, all’età di tredici anni, gli occhi pieni di lacrime e di rimpianti, sotto il bianco velo verginale, non foste obbligate a dire addio alla scuola per fare l’esperienza con tutte le fibre del vostro essere “della storia amara di un cittadino di seconda classe”. Figlie della terra di Ahura, quando vi impegnerete in seno a madre natura a raccogliere foglie di menta per i vostri figli e a confezionare corone floreali di violette, ricordatevi di tutta la purezza e la gioia della vostra infanzia.

Figli della natura e del sole, so che voi non potrete più restare con i vostri compagni di classe a leggere e a ridere; dopo “il flagello della virilità”, dovrete affrontare il dolore di guadagnarvi la vita, non dimenticate la poesia, i canti, i sogni e le ragazze. Insegnate ai vostri figli a essere gli eredi “della rima e della pioggia” per il proprio Paese, nell’ora presente e per tutti i loro giorni a venire. Io vi lascio al vento e al sole, io vi lascio perché, in un futuro non tanto lontano, diate lezioni di amore e di lealtà al vostro Paese.
Il vostro compagno di infanzia, compagno di gioco e insegnante.

Prigione di Rajaj Shahr, marzo 2008

Farzad Kamangar

Traduzione di Daniela Zini
Copyright © 21 agosto 2011 ADZ

domenica 14 agosto 2011

LETTERE DALL'IRAN: LETTERA DI FARZAD KAMANGAR

LETTERE DALL’IRAN
Oggi vi propongo la traduzione della:

LETTERA DI FARZAD KAMANGAR

Dicembre 2009 – Evin

Non dimenticherò che, in questo Paese, le parole si trasformano, talvolta, in “crimini” e in “peccati imperdonabili”, se solo vengono pronunciate. Il tratto di una penna su un foglio bianco può “turbare lo spirito del lettore” e portare al perseguimento giudiziario. Esprimere i propri pensieri può essere considerato “propaganda”. La simpatia può divenire “cospirazione” e una manifestazione può essere ritenuta un tentativo di “rovesciamento (del regime)”. Le parole hanno un peso legale, quindi, si deve fare attenzione.

Non dimenticherò di educare i miei occhi a non credere a tutto quello che vedono, la mia lingua a non ripetere tutto. Quello che sento, ogni notte, non è un grido, un’onda o una tempesta. Ogni notte, sento l’eco “della polvere e della sporcizia” che tengono sveglia la città, tutta la notte.  

Non dimenticherò che in città, non vi è né povertà, né protesta, né inflazione, né disoccupazione, né ingiustizia, né fame, né disuguaglianza, né oppressione, né tirannia, né menzogna, né condotta immorale e contraria all’etica. Sono parole usate e difese dai nemici.

Ora, nondimeno, sotto la pelle della città, accade qualcosa che suggerisce al poeta le parole, che ispira un soggetto e una sceneggiatura al regista, che rende il coraggio agli anziani e la speranza ai giovani, qualcosa che spinge i disillusi e i disperati ad agire. Ora, il cuore del mondo sembra battere nella città.

È come se Tehran fosse divenuta il meridiano di Greenwich del mondo: un riferimento. Nessuno dorme finché gli abitanti della città non si addormentano. E finché non si svegliano, il nostro emisfero non vede la luce del giorno.

Ora, alcun bisogno di percorrere il mondo per sapere dove il cuore fa soffrire, dove lo schizzo d’inchiostro abbandona alla solitudine. Alcun bisogno di recarsi nelle regioni in crisi per trovare soggetti da fotografare. Per comporre o per cantare, alcun bisogno di sentire il dolore dei palestinesi, degli iracheni e degli afghani.  Le note e i ritmi si accorderanno a quelli delle madri inquiete della città. Il ritmo profondo della musica si accorderà al ritmo della bastonatura sulla schiena e sul capo del popolo.

Ora, il tempo di luglio è divenuto autunno. Racconta di una foresta mutata in deserto. Si vede tutto, anche se la televisione è cieca. Si sente tutto, anche se la radio è sorda. Le parole non scritte appaiono dietro le righe nere dei giornali, anche se il giornale è divenuto muto. Si sente, si comprende tutto, nonostante la cinta delle spesse alte mura di Evin.  

Ora, io non erro più solo nelle stradine della nostra città. Il mio cuore è sempre in Haft-e tir Square, in Enqelab Avenue e in Jomhuri Avenue. Avevo un fiore in mano; l’ho offerto alle madri in lutto della città.

Oggi, non si tratta più soltanto della solitudine di Ebrahim nella prigione di Sanandaj, né dei miei fratelli e delle mie sorelle, isolati nelle prigioni di Sanandaj, Mahabad e Kermanshah. Le loro sofferenze mi opprimono il cuore. Ho dozzine di fratelli e sorelle detenuti qui. Io scoppio in lacrime quando vedo i loro volti sofferenti e le loro vesti strappate. Io sono fiero di avere tali fratelli e tali sorelle.

La città non è più quel luogo che mi era straniero, grigio, inquinato, soffocato da alti edifici. Ora, la città è piena di Nede e di Sohrab. Come se, al termine di lunghi anni, la “farfalla della libertà” avesse attraversato la città, in volo, per giungere fino al cuore del popolo.

Prigione di Evin, 5 dicembre 2009

Farzad Kamangar

Traduzione di Daniela Zini
Copyright © 13 agosto 2011

http://www.youtube.com/watch?v=YSWFQbpz7kI

http://www.youtube.com/watch?v=3ljnlCoz_Qc

http://www.youtube.com/watch?v=9IOJlOt3rfE&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=u15EVv_nEhQ

domenica 7 agosto 2011

LETTERE DALL'IRAN: LETTERA DI HAMID TAQVAI A LUIS MORENO-OCAMPO

LETTERE DALL’IRAN
Oggi vi propongo la traduzione della:

LETTERA DI HAMID TAQVAI A LUIS MORENO-OCAMPO


Signor Luis Moreno-Ocampo
Procuratore capo
Corte Penale Internazionale
Unità dell’ Informazione e delle Prove
Post Office Box 19519
Aia, Paesi Bassi

Signor Luis Moreno-Ocampo
Le scrivo, in nome del popolo dell’Iran per chiedere alla Corte Internazionale di perseguire Khamenei, guida suprema della Repubblica Islamica dell’Iran, per crimini contro l’umanità.

Esiste una ampia documentazione su tali crimini, dall’instaurazione della Repubblica Islamica dell’Iran, tuttavia, la repressione condotta contro le manifestazioni del mese di giugno è un motivo più che sufficiente per un tale perseguimento.

Venerdì 19 giugno, nel suo discorso della preghiera del venerdì, Khamenei ha chiesto la fine delle proteste in strada e ha minacciato i dimostranti che non si sarebbe potuto ritenere responsabile per “il bagno di sangue e il caos” che sarebbero seguiti a queste manifestazioni. Il giorno seguente, le forze di sicurezza del governo, quali i bassiji, i pasdaran, le forze di polizia e gli agenti in civile, hanno occupato le strade e hanno attaccato, alla cieca, i manifestanti. Se una informazione completa non è disponibile,  abbiamo raccolto 56 nomi di persone uccise, il numero totale degli uccisi è, chiaramente, più elevato. Migliaia di persone sono state, anche, arrestate, abbiamo sentito parlare di 3mila arresti solo a Tehran. Abbiamo, già, messo a punto una lista di diverse centinaia di nomi di persone arrestate. Ben più elevato è il numero dei feriti.

Assassinii di manifestanti
Il giorno dopo che Khamenei aveva minacciato i manifestanti, la giovane Neda Aqa-Soltan di 27 anni, è morta per un colpo partito dalle forze di sicurezza, il 20 giugno. I testimoni oculari sostengono che si sia, chiaramente, mirato e sia stata colpita al petto. Vi è stato anche un mandato nei confronti del medico che era sul posto, che aveva cercato di aiutarla, ed era stato, poi, il primo a informare il mondo di quanto era accaduto. Tra gli altri morti, vi sono lo studente di chimica Kianush Asa, che è stato portato dentro dal suo dormitorio dell’università e trovato morto all’obitorio, dieci giorni più tardi, con evidenti segni di tortura; Hossein Tahmasbi, 25 anni, picchiato a morte dalle forze del regime e Ashkan Sorbi, colpito in pieno petto da tre proiettili, morto nel tragitto all’ospedale. Sono inclusi in una lista di 56 morti che unisco alla mia lettera.

Vi sono anche rapporti su numerose persone scomparse, che si teme siano morte. Alcuni rapporti citano una guardia di prigione, che parla di corpi traslati fuori della prigione di Evin e sepolti in fosse comuni in zone della prigione accessibili ai servizi di informazione dei bassiji e dei pasdaran.

Vi sono anche i rapporti delle famiglie dei morti, cui è stato chiesto di “sborsare” somme di denaro,spiantare
 anche pari all’equivalente di 3mila dollari, per riavere i corpi dei propri cari. Un esempio messo in luce dai media è quello della famiglia di Neda Aqa-Soltan, che ha dovuto faticare non poco per ottenere dalle autorità iraniane la restituzione del corpo. Secondo il fidanzato, intervistato dalla BBC farsi (http://www.youtube.com/watch?v=GTkzyyv0DuA), “è stata portata in un obitorio fuori Tehran. I funzionari dell’obitorio hanno chiesto di poter espiantare parti del suo corpo da trapiantare in pazienti.

Non hanno ben chiarito cosa intendessero fare. La famiglia ha dato l’assenso pur di riavere il corpo, il prima possibile. L’abbiamo sepolta nel cimitero Behesht-e Zahra, nel sud di Tehran. Ci hanno chiesto di seppellirla in una sezione del cimitero, dove, sembra, le autorità abbiano riservato posti speciali per coloro che sono morti durante gli scontri.” Questa sezione è stata chiamata dal regime “sezione degli ipocriti”. Il governo ha anche vietato alla sua famiglia e alle altre famiglie dei morti di fare funerali pubblici.

Trattamenti dei feriti
Abbiamo ricevuto numerosi rapporti di persone ferite, anche in modo grave. I dottori e gli infermieri sono scesi in strada per protestare contro il trattamento dei feriti. Molti non hanno potuto raggiungere le proprie famiglie. Alcuni sono stati buttati giù dal letto di ospedale e portati in prigione.

Torture, maltrattamenti e situazione dei detenuti
 I rapporti di torture e di stupri sono ricorrenti. Abbiamo ricevuto rapporti che riferiscono di prigionieri selvaggiamente torturati con l’intenzione di uccidere. Secondo un testimone oculare, in un recente raduno di familiari davanti alla prigione di Evin, uno dei prigionieri, liberati durante il raduno, aveva raccontato di essere stato arrestato nei pressi di Afsariyeh a Tehran e condotto in un luogo segreto. Era stato tenuto senza mangiare per 48 ore. Vi erano là dove stava, 500 persone detenute nello stesso ambiente, senza alcuna possibilità di accesso a docce e sanitari. Dopo 48 ore, avevano dato loro pane, patate e formaggio. Quando si erano lamentati, era stato risposto loro:
“Siete dei contro-rivoluzionari, ringraziate di non essere stati uccisi.” 

Il prigioniero liberato aveva raccontato che tutti erano stati selvaggiamente picchiati. Un uomo di 48 anni sottoposto a scariche elettriche era morto, quando era là. Numerosi prigionieri della sua cella erano gravemente feriti, con braccia e gambe rotte. Aveva riferito di essere stato mandato alla prigione di Evin, dove gli avevano detto:
“Tu hai protestato contro il regime islamico, ti faremo qualcosa per cui non sarai più in grado di ritrovare la tua casa, una volta uscito di qui.”
Secondo questi, molti a Evin sono in pericolo di vita.

Abbiamo anche sentito da una donna che sua figlia era stata picchiata alla cieca per quattro giorni, poi, gettata fuori di prigione in strada, in tarda notte. Un passante l’aveva presa a bordo della sua auto e l’aveva ricondotta a casa. Dalla sua liberazione, aveva tentato più volte il suicidio. Sua madre temeva che fosse stata violentata.

Molti detenuti hanno confessato alla televisione di Stato iraniana di essere stati influenzati da poteri esterni. Chiaramente, lo hanno fatto forzatamente.

Unisco una lista di una parte degli arrestati. Le famiglie degli arrestati si sono radunate davanti alla prigione di Evin o al tribunale di Tehran per reclamare la liberazione dei propri figli e chiedere cosa ne sia di loro. Le famiglie sono state minacciate. Le madri degli scomparsi e dei morti si sono, anche, radunate in diversi parchi e sono state aggredite dalle forze di sicurezza.

Il Partito Comunista-Operaio d’Iran ha iniziato a raccogliere le proteste del popolo contro Ali Khamenei attraverso la rete televisiva New Channel in Iran e farà tutto il possibile per portare in giudizio le prove a sostegno contro Ali Khamenei.

Nell’attesa di una sua risposta e di una sua azione rapida, sinceramente.

Hamid Taqvai

Traduzione di Daniela Zini
Copyright © 7 agosto 2011 ADZ

sabato 6 agosto 2011

LETTERE DALL'IRAN: MESSAGGIO DI JAFAR PANAHI

LETTERE DALL’IRAN
Oggi vi propongo la traduzione del:

MESSAGGIO DI JAFAR PANAHI


Questo messaggio è stato fatto pervenire da Jafar Panahi ad Abbas Bakhtiari, direttore del Centre Culturel Pouja (http://www.youtube.com/watch?v=EEQIfYaNm9Y&feature=player_embedded).


Con la presente dichiaro i maltrattamenti subiti nella prigione di Evin:

Sabato 15 maggio 2010, le guardie della prigione sono entrate, all’improvviso, nella cella n. 56. Ci hanno portati fuori, me e i miei compagni di cella, ci hanno fatto denudare e tenuto al freddo per un’ora e mezza.

Domenica mattina, mi hanno condotto nella sala degli interrogatori e mi hanno accusato di aver filmato l’interno della mia cella, cosa che è, del tutto, falsa. Hanno, poi, minacciato di arrestare la mia famiglia e di maltrattare mia figlia in una prigione insicura nella città di Rajai Shahr. 

Non ho bevuto né mangiato da domenica mattina e dichiaro che, qualora le mie volontà non fossero rispettate, continuerei, ogni mio istante, a non bere né a mangiare. Io non posso essere un topo da laboratorio, vittima dei loro giochi perversi, minacciato e torturato psicologicamente.

Le mie volontà sono:
-      la possibilità di contattare e di vedere la mia famiglia e l’assicurazione totale della loro sicurezza;
-      il diritto di avere e di comunicare con un avvocato, dopo 77 giorni di prigione;
-      una libertà incondizionata fino al giorno del mio processo e della sentenza finale.
-      infine, giuro sul cinema, nel quale credo, che cesserò lo sciopero solo quando le mie condizioni saranno accettate.

La mia ultima volontà è che la mia salma sia resa alla mia famiglia affinché possa seppellirmi ove desideri.

Jafar Panahi

Traduzione di Daniela Zini
Copyright © 6 agosto 2011 ADZ


venerdì 5 agosto 2011

LETTERE DALL'IRAN: L'ULTIMA LETTERA DI HOSSEIN KHEZRI

LETTERE DALL’IRAN
Oggi vi propongo la traduzione della:

ULTIMA LETTERA DI HOSSEIN KHEZRI
prigioniero curdo giustiziato in Iran


Il prigioniero politico curdo Hossein Khezri, arrestato, nel 2008, e condannato a morte per appartenenza al Partito per una Vita Libera in Kurdistan (PJAK), in un’udienza di dieci minuti, veniva giustiziato, il 15 gennaio 2011, secondo i responsabili della prigione centrale di Orumieh, nel Kurdistan iraniano, ma, secondo il proprio avvocato e la propria famiglia, l’esecuzione aveva avuto luogo, il 5 gennaio. Era l’ottavo prigioniero curdo giustiziato dal 2007, per “presunti legami” con questa organizzazione.

Una udienza di dieci minuti
Mi chiamo Hossein Khezri. Sono nato a Orumieh, nel Kurdistan orientale (iraniano). Sono stato arrestato, nel 2008. Il 18 maggio 2009, sono comparso, per la prima e ultima volta, davanti al giudice della corte della rivoluzione di Orumieh. L’udienza si è aperta in presenza di un procuratore e di un agente della VEVAK (i servizi di informazione iraniani). All’inizio dell’udienza, la persona mandata dai servizi di informazione mi ha minacciato perché io non dicessi niente sulle torture. Io non ho avuto il diritto di difendermi durante l’udienza farsa di dieci minuti e sono stato condannato a morte. È stato un processo sospetto e illegittimo. Come avremmo potuto, io e il mio avvocato, difenderci in dieci minuti!

Una farsa, non una udienza
Io mi sono sempre posto questa domanda:
“È possibile che questa farsa sia messa in scena perché “il criminale” è presente in aula e la sua condanna a morte è pronunciata davanti a lui?”
Per me, questo spettacolo comico è stato realizzato unicamente per questo.    
Durante l’udienza, ho detto al giudice, di nome Darvish, che rigettavo la maggior parte delle mie deposizioni, perché mi avevano obbligato a firmarle sotto torture psicologiche e fisiche indescrivibili. Nonostante le mie insistenze, il giudice non mi ha ascoltato e ha pronunciato la pena di morte.
La condanna è stata confermata, il 2 agosto 2008, dalla corte suprema della giustizia iraniana. Questa decisione mi è stata notificata, l’8 agosto, nella prigione di Orumieh.

Io sono stato privato di tutti i miei diritti
Innanzitutto, vorrei dire che ho cercato di beneficiare di tutti i diritti previsti dalla legge e ho avanzato istanze alle autorità per impedire questa ingiustizia, prima della notifica della decisione. Ho raccontato delle torture inumane che mi erano state inflitte e ho sporto denuncia contro le pratiche illegali, inumane... questa denuncia è stata inoltrata dalla corte di Orumieh alla corte suprema. In seguito alla mia denuncia, sono stato convocato, il 7 agosto 2009, dalla ottava camera della corte. Ho raccontato delle torture e dei trattamenti inumani e ho, anche, presentato il rapporto medico, che confermava le torture, ma la corte ha ignorato quello che ho detto. Tutte le mie istanze, a norma di legge, sono state respinte. Il 2 febbraio 2010, ho presentato alle autorità il mio rapporto accompagnato da una lettera, ma la corte ha rifiutato, ancora una volta, e sono stato consegnato ai servizi di informazione di Orumieh.

Io non ho mai accettato di divenire un informatore
Per tutto il tempo, nella prigione centrale di Orumieh, sono stato, spesso, minacciato. Mi minacciavano di morte per la denuncia sporta contro di loro. Volevano che confessassi davanti alle telecamere. Volevano anche che smentissi le torture. E, in cambio, mi promettevano la revisione del processo e la commutazione della condanna a morte. Tali erano i loro atteggiamenti nei miei confronti, ma io non ho mai accettato di divenire un informatore.

Chi è il responsabile della morte di mio padre?
La mia famiglia era molto preoccupata per me. Le forze dell’ordine volevano che la mia famiglia vivesse nella paura. Mio padre si era recato presso i servizi di informazione, a Orumieh, per avere notizie del mio caso, ma aveva ricevuto risposte false e contraddittorie. Mio padre, che voleva avere notizie delle mie condizioni, è morto per la gran pena, di una crisi cardiaca davanti all’edificio dei servizi di informazione. La morte di mio padre è un crimine in più della repubblica islamica d’Iran. E stato un duro colpo per la mia famiglia. La morte di mio padre, in questo modo, è stata cento volte più pesante per me della mia esecuzione.
Chi è il responsabile della morte di mio padre?
Dio lo sa!
Dopo la sua morte, in luogo delle condoglianze, le autorità hanno fatto il contrario e mi hanno trasferito nella prigione di Qazvin (una città dell’Iran situata a ovest di Tehran). Mio padre non era al corrente di questo trasferimento. Per più di cento ore le mie mani e i miei piedi sono stati legati e i miei occhi bendati. Mi hanno detto che era giusto un cambiamento di luogo. Immaginatevi la situazione di un uomo che ha perso suo padre...

Io non ho aderito ad alcuna azione armata
Lo Stato iraniano, la procura e la corte mi considerano un mohareb (nemico di Dio). È il motivo della mia condanna. Io non ero armato, al momento del mio arresto perché facevo attività politica, ma è, per questo motivo, che sono stato arrestato. Io non ho aderito ad alcuna azione armata contro lo Stato iraniano. A Kermanshah (una città nel Kurdistan iraniano), sono stato tenuto, per otto mesi, in una cella. Ho subito torture fisiche e psicologiche ad al-Mahdi, l’edificio dei servizi di informazione, nella città di Orumieh.

La morte era meglio che vivere
Ho tentato, due volte, il suicidio per le torture e i maltrattamenti inumani che mi hanno inflitto, ininterrottamente, negli otto mesi di isolamento totale. Morire era meglio che vivere. Immagino che sia raro vedere una persona sola in una cella subire, continuamente, torture e non avere contatti con la propria famiglia e il mondo esterno per tutto il tempo!
È ora evidente che sarò giustiziato. Credo che la mia esecuzione possa avvenire a ogni istante. Anche in questi ultimi giorni, mi impediscono di raccontare, liberamente, delle torture subite e delle mie condizioni di salute.

Fate sentire le nostre voci
In queste condizioni di isolamento e di repressione intensiva, faccio un appello alle istituzioni internazionali, alle organizzazioni dei diritti umani e, in particolare, a coloro che si battono per i diritti dei prigionieri:
“Fate sentire le nostre voci soffocate, la voce dei prigionieri in Iran, all’umanità.”

Traduzione di Daniela Zini
Copyright © 1 agosto 2011 ADZ