“Viaggiare è il più personale dei piaceri. […]”
con questa frase Vita
Sackville-West introduce i suoi ricordi di viaggio in Persia.
IRAN
il paese delle rose
“[…]
Hame-ye alam tanast va Iran del
Nist qaviyande zin qiyas khejel
[…]”
Nezami Ganjavi, Haft peykar
VIII. Faida
greco-persiana:
Europa e il mito
dell’Occidente
“Eppure, in questa tragica vigilia non esiste altra salvezza.
Non esiste, per la sinistra europea, altra politica estera. Stati Uniti
d’Europa. Assemblea europea. Il resto è “ flatus vocis”, il resto è
catastrofe.”
Carlo Rosselli [1899-1937], 1935
Sam Drukker
Non bene conveniunt nec in una sede
morantur
maiestas et amor; sceptri gravitate relicta
ille pater rectorque deum, cui dextra trisulcis
ignibus armata est, qui nutu concutit orbem,
induitur faciem tauri mixtusque iuvencis
mugit et in teneris formosus obambulat herbis.
Quippe color nivis est, quam nec vestigia duri
calcavere pedis nec solvit aquaticus auster.
Colla toris exstant, armis palearia pendent,
cornua vara quidem, sed quae contendere possis
facta manu, puraque magis perlucida gemma.
Nullae in fronte minae, nec formidabile lumen:
pacem vultus habet. Miratur Agenore nata,
quod tam formosus, quod proelia nulla minetur;
sed quamvis mitem metuit contingere primo,
mox adit et flores ad candida porrigit ora.
Gaudet amans et, dum veniat sperata voluptas,
oscula dat manibus; vix iam, vix cetera differt;
et nunc adludit viridique exsultat in herba,
nunc latus in fulvis niveum deponit harenis;
paulatimque metu dempto modo pectora praebet
virginea plaudenda manu, modo cornua sertis
inpedienda novis; ausa est quoque regia virgo
nescia, quem premeret, tergo considere tauri,
cum deus a terra siccoque a litore sensim
falsa pedum primis vestigia ponit in undis;
inde abit ulterius mediique per aequora ponti
fert praedam: pavet haec litusque ablata relictum
respicit et dextra cornum tenet, altera dorso
inposita est; tremulae sinuantur flamine vestes.
maiestas et amor; sceptri gravitate relicta
ille pater rectorque deum, cui dextra trisulcis
ignibus armata est, qui nutu concutit orbem,
induitur faciem tauri mixtusque iuvencis
mugit et in teneris formosus obambulat herbis.
Quippe color nivis est, quam nec vestigia duri
calcavere pedis nec solvit aquaticus auster.
Colla toris exstant, armis palearia pendent,
cornua vara quidem, sed quae contendere possis
facta manu, puraque magis perlucida gemma.
Nullae in fronte minae, nec formidabile lumen:
pacem vultus habet. Miratur Agenore nata,
quod tam formosus, quod proelia nulla minetur;
sed quamvis mitem metuit contingere primo,
mox adit et flores ad candida porrigit ora.
Gaudet amans et, dum veniat sperata voluptas,
oscula dat manibus; vix iam, vix cetera differt;
et nunc adludit viridique exsultat in herba,
nunc latus in fulvis niveum deponit harenis;
paulatimque metu dempto modo pectora praebet
virginea plaudenda manu, modo cornua sertis
inpedienda novis; ausa est quoque regia virgo
nescia, quem premeret, tergo considere tauri,
cum deus a terra siccoque a litore sensim
falsa pedum primis vestigia ponit in undis;
inde abit ulterius mediique per aequora ponti
fert praedam: pavet haec litusque ablata relictum
respicit et dextra cornum tenet, altera dorso
inposita est; tremulae sinuantur flamine vestes.
Publius Ovidius Naso
[43 a.C.-18 d.C.], Metamorphoseon, II
à mon Amie Margherita Paolini
Les Amitiés d’esprit se
font par chaînes et
rencontres, comme les Amitiés de cœur. Un Ami admiré nous fait connaître ses
Amis, et ceux-ci nous plaisent par des traits qui sont aussi les siens. C’est par un Ami admiré que j’ai connu Margherita.
Come il Dio della Bibbia, nel momento della creazione, il
geografo è obbligato a dare un nome a ciò che descrive: la toponimia,
costruzione umana, è, di conseguenza, carica di motivazioni umane.
“Ut omnis natura in caelum et terram divisa est, sic caeli
regionibus terra in Asiam et Europam. Asia enim iacet ad meridiem et austrum,
Europa ad septemtriones et aquilonem. Asia dicta ab nympha, a qua et Iapeto
traditur Prometheus. Europa ab Europa Agenoris, quam ex Phoenice, Manlius
scribit taurum exportasse, quorum egregiam imaginem ex aere Pythagoras Tarenti.
Europae loca multae incolunt nationes. Ea fere nominata aut
translaticio nomine ab hominibus ut Sabini et Lucani, aut declinato ab
hominibus, ut Apulia et Latium, aut utrumque, ut Etruria et Tusci. Qua regnum
fuit Latini, universus ager dictus Latius, particulatim oppidis cognominatus,
ut a Praeneste Praenestinus, ab Aricia Aricinus.”
M. Terentius Varro
[116 a.C.-27 a.C.],
De Lingua Latina, V
Il termine Europa è stato utilizzato dai geografi per designare l’insieme
delle penisole, delle montagne e delle pianure, all’estremità occidentale del
continente euro-asiatico. In tale modo, sono stati gli stessi geografi a
sollevare uno dei grandi problemi relativi alla definizione di Europa.
Se a Nord, a Ovest e a Sud il mare costituisce il confine naturale del
continente qual è il confine a Est?
Le steppe dell’attuale Russia, la terra degli sciti nell’Antichità, il
Bosforo e gli altipiani, che separano l’Anatolia dalle valli dell’Eufrate e del
Tigri, sono zone indefinite, in cui l’Europa emerge dall’Asia.
Perché e come l’Europa, confusa con l’Occidente, da semplice nozione
geografica, è divenuta il principio organizzatore della più corrente visione
del mondo?
Perché e come questo termine Europa può essere, al tempo stesso, vettore
di sentimenti di alterità odiosa e portatore di speranze umaniste?
È, forse, la più straordinaria parabola della storia mondiale quella che
ha visto il passaggio dalla guerra fredda e dalla contrapposizione nucleare dei
blocchi alla distensione tra Est e Ovest, all’emancipazione dell’Europa
Orientale e, poi, alla decomposizione dell’ordine mondiale per l’insorgenza di
nazionalismi e di fanatismi tribali, che impongono, ormai, la scadenza, sia
pure in prospettiva, di un “governo mondiale dell’Umanità.”
La Guerra del Golfo, nell’inverno del 1991, ha segnato il punto di spartiacque tra
due epoche: gli anni della svolta mondiale e gli anni della frantumazione
mondiale. Con una regola nuova e inquietante: quanto si sviluppava l’asse
distensivo tra Est e Ovest, tanto si accentuava la contrapposizione aspra e
impietosa tra Nord e Sud del mondo. Così, nel pianeta, si delineava una intesa
tra le superpotenze, che consisteva nella riduzione delle armi nucleari e,
tendenzialmente, un disarmo bilanciato, comprensivo anche delle armi
convenzionali, che investiva gli arsenali di Washington e di Mosca, che toccava
il destino del Patto di Varsavia e anche del Patto Atlantico. E, dall’altra
parte, una accresciuta situazione di ingovernabilità dei conflitti regionali.
Il caso dell’Iraq dimostra che, nelle varie regioni del mondo, non
interessate alla linea Est-Ovest, le superpotenze – una volta avviate a
collaborare – contino meno di quanto contassero quando erano diverse. Quando
erano divise e contrapposte, America e Unione Sovietica riuscivano a
rappresentare ognuna una garanzia in un’area. Vi erano i Paesi dominati dal Comunismo
e i Paesi dominati dagli Stati Uniti. In un certo modo, esisteva un
bilanciamento. Il tramonto di quell’equilibrio del terrore ha scaricato sulle
Nazioni Unite il compito fondamentale di garantire l’ordine mondiale,
riproposto quella che era considerata l’utopia del “governo mondiale dell’Umanità”.
di
Daniela Zini
- Che cos’è l’Europa? Un oggetto reale, una entità storica e geografica, chiaramente identificata, o un mito, una costruzione puramente immaginaria, atemporale, destinata a spiegare e a rafforzare il legame sociale?
“Nessuna
scienza è affare di filosofi più della geografia.”
Strabone [58 a.C. ca.-21/25 a.C. ], Geografia, I,
1, 1
La costruzione
comunitaria costituisce un fenomeno politico senza precedenti. Il progetto di
una cooperazione o di una unione tra i Paesi europei non è certo una idea
nuova, perché la nozione di Europa e di Stato europeo si ritrova in filosofi
quali Immanuel Kant
[1724-1804] e Georg Wilhelm Friedrich Hegel [1770-1831].
La integrazione comunitaria rappresenta, tuttavia, un caso singolare, sia per
la natura dei legami, che uniscono i suoi membri, sia per la importanza che
assume sulla scena internazionale. Sovente percepita come un apparato
tecnocratico e distante, l’Unione Europea è oggetto di una relativa
disaffezione da parte delle popolazioni degli Stati Membri, che denunciano una
mancanza di apertura e di partecipazione cittadina al suo seno. In questa diatriba
si inseriscono nuove sfide, quali l’allargamento a Est, la candidatura turca e
l’adozione eventuale di un trattato, che stabilisca una costituzione per
l’Europa. Confrontata a queste molteplici problematiche, l’Unione Europea è,
più che mai, in cerca della sua legittimità, alla ricerca della sua identità.
Il rapimento di Europa – Tiziano Vecellio [1559-1562]
L’idea dell’Europa inizia da un mito. Un mito
greco, probabilmente tessuto su una trama semitica: la dea Europa – Oceanide
dalle numerose sorelle, tra le quali figura Asia – sedotta e rapita dalle terre
asiatiche da un biondo toro, di cui Zeus ha preso le sembianze, vola sul dorso
dell’animale verso Creta, per esservi fecondata dal suo divino rapitore. La
notte precedente il rapimento, un sogno premonitore le ha mostrato: “due terre disputarsi a causa sua, la terra di
Asia e la terra di fronte” [Denis de Rougemont, Vingt-huit siècles d’Europe].
Anche se, come riferisce Erodoto [484 a.C.-425 a.C.], Europa “non è mai giunta in quel Paese che i greci
chiamano, ora [X secolo a.C.], Europa”, si immagina, senza difficoltà, tutto ciò che si
possa trarre dal ricco simbolismo di questo rapimento leggendario. Ha di che
soddisfare, pienamente, l’ideologia che l’Occidente nutre delle sue origini e
della sua identità: venuta da quell’Asia delle prime grandi civiltà, Europa,
scelta tra tutte, è, bruscamente e deliziosamente, strappata dalla sua terra
natale per ricevere il seme di Zeus, che destina la sua discendenza a un ruolo
dominante. Probabilmente costruito per fondare, al tempo stesso, la filiazione
asiatica e la specificità della Grecia, il mito di Europa è ripreso da tutti i
popoli che si situano sulla scia ellenica.
Il rapimento di Europa - Paolo Veronese [1580]
Museo di Palazzo Ducale - Venezia
Nelle sue Storie, che riferiscono i conflitti tra
i greci [elleni] e i persiani [barbari], Erodoto, utilizza, per primo, il termine Europa sia come toponimo, sia come
nome proprio, e conferisce alla nozione una importanza ideologica e
politica maggiore. L’Europa, con al centro la città di Atene, si oppone
all’Asia, l’Impero dei persiani.
Il rapimento di Europa - Rembrandt [1632]
Gli elleni
divengono, così, i guardiani del continente europeo, che il celebre storico
greco erige a baluardo contro la tirannia persiana. La Guerra del Peloponneso
[431-404 a.C.]
che divide la Grecia,
mette, temporaneamente, in secondo piano, la opposizione tra Asia e Europa. Non
è che dalla Pace di Antalcida [386 a.C.], che attribuisce le città greche
dell’Asia Minore, Cipro e Clazomene al Grande Re di Persia, Artaserse II, che
la polarizzazione assume, di nuovo, rilievo. Nel suo Panegirico, l’oratore Isocrate esorta l’unione di tutti i greci
contro i persiani, condannando l’attribuzione ingiusta delle città dell’Asia
Minore e delle isole al Grande Re. La potenza crescente dell’Impero macedone lo
porta, tuttavia, a rivedere il suo atteggiamento: nel suo scritto Filippo [346 a.C.], Isocrate preconizza
l’intervento del Re di Macedonia, che dispone della più grande forza armata in
Europa, contro l’Impero dell’Asia. Chiama, al contempo, i popoli europei –
sottinteso i greci – a sostenere Filippo II di Macedonia [382 a.C.-336 a.C.].
“Restano da riassumere gli argomenti trattati, perché tu
possa considerare nello spazio di pochissime righe la somma dei miei consigli.
Affermo che tu devi essere il benefattore dei greci, il Re dei macedoni e
dominare sul maggior numero possibile di barbari. Se farai ciò, tutti te ne
saranno grati, i greci per i benefici di cui godranno, i macedoni, se li
guiderai da Re e non da tiranno, gli altri popoli, se allontaneranno, grazie a
te, il potere dispotico dei barbari e otterranno la protezione dei greci.”
Se, con Isocrate,
la nozione Europa resta ancora strettamente legata alla Grecia, conosce,
nell’opera di Teopompo di Chio una trasformazione: il Re di Macedonia è l’uomo
più potente di Europa, capace – se vuole – di estendere la sua autorità su
tutta l’Europa.
Il rapimento di Europa - François Boucher [1747]
Musée du Louvre - Parigi
All’epoca
dell’Impero romano, un nuovo aspetto, già enunciato dai greci, assume maggiore rilevanza:
la superiorità dell’Europa grazie ai suoi vantaggi climatici e geografici. Era
stato Ippocrate di Coo [460 a.C. ca.-337 a.C.] ,
il mitico fondatore della medicina, il primo a teorizzare la superiorità
dei greci sui popoli asiatici per motivi climatici:
“Un clima variabile produce una natura che si accompagna a
modi fieri, impetuosi e discordanti, dacché frequenti paure producono una
disposizione mentale violenta, mentre la quiete e la calma intorpidiscono lo
spirito. In realtà, è proprio per questo motivo che gli abitanti di Europa sono
più coraggiosi di quelli di Asia. Le condizioni poco mutevoli inducono a modi
indolenti; le variazioni brusche, di contro, eccitano il corpo e la mente.”
Il geografo
Strabone [58 a.C. ca.-21/25 a.C.] la descrive come un continente vario e il più
adatto a produrre il migliore cittadino e la migliore forma di Stato.
Riferendosi ai cambiamenti climatici e geografici, mette in epigrafe il fatto
che l’Europa abbia prodotto popoli dominatori – greci, macedoni, romani – e
abbia saputo creare le migliori condizioni per una vita guerriera, agricola e
politica.
“L’Europa
ha ricevuto dalla natura grandi vantaggi: essendo tutta disseminata di montagne
accanto a pianure, dappertutto i popoli agricoltori e civilizzati vivono fianco
a fianco con quelli guerrieri, ed essendo i primi più numerosi, la pace ha
finito per prevalere.”
Il rapimento di Europa - Gustave Moreau [1869]
L’idea di una
Europa superiore agli altri continenti è ancora distinta da Marco Manilio [I
sec. a.C.-I sec. d.C.], il poeta considera la Libia un deserto sterile, popolato, unicamente,
da serpenti velenosi e animali selvatici; quanto all’Asia, le riconosce una
certa fertilità e un relativo benessere, ma nulla di più. Di contro, conferisce
all’Europa tutti i vantaggi: i suoi uomini ne fanno il più grande territorio, i
suoi artisti e i suoi eruditi la terra più feconda.
Il rapimento di Europa - Valentin Serov [1910]
Per molti di noi, Europa e Occidente sono pressoché la stessa cosa, per
quanto Occidente, in quanto civiltà, abbia, da alcuni secoli, travalicato,
ampiamente, le frontiere del vecchio continente. Noi difendiamo qui, la tesi
che questa distinzione Europa-Occidente è più che una semplice questione di
geografia o anche di storia. Corrisponde, infatti, a due concezioni del mondo
che, dopo una coabitazione forzata e disagiata, sono chiamate a divergere,
radicalmente, in un avvenire più o meno lontano. Etimologicamente, Europa [il
cui nome proviene, forse, dall’accadico Erebu,
che denota la terra del tramonto, in contrapposizione ad Asu, l’Asia, la terra del sorgere del sole] e Occidente [che prende il nome
dall’espressione latina solem occidentem, ovvero sole morente, in contrapposizione a solem
orientem, ovvero sole nascente] ricoprono
lo stesso significato di natura geografica. Ma, quale che sia il punto di
vista, Occidente è una apparizione ulteriore, secondaria, rispetto a Europa,
che è prima, originaria. Se Erodoto, 2500 anni fa, si perdeva in
congetture sulla origine del termine Europa, ignorava il termine Occidente,
che, come il suo antonimo Oriente, non appare, come aggettivo, che, nel 395
d.C., con la divisione dell’Impero romano in due parti, alla morte di Teodosio
I [347 d.C.-395 d.C.]. Riappare come
sostantivo, intorno all’XI e al XII secolo, per la penna dei clerici [uomini di chiesa, che
conoscevano bene il latino e il greco e avevano una buona cultura classica e una
ottima cultura teologica], i quali, implicitamente almeno, identificano questo
vocabolo con la
Cristianità e, più
specificamente, con il Cattolicesimo romano, in antitesi alla religione
ortodossa dell’Impero bizantino, poi, del suo successore, l’Impero russo.
Da queste
considerazioni storiche si può dedurre che l’Occidente è, innanzitutto, una
divisione dell’Europa da se stessa, che relega la sua metà orientale ai barbari
e agli eretici.
Lo Scisma di
Oriente del 1054 tra la
Chiesa Cattolica romana e la Chiesa Ortodossa mette fine a
sette secoli di intense lotte teologiche, iniziate, nel 330 d.C., con la
divisione dell’Impero romano, allorché il Vescovo di Roma pretendeva arrogarsi
la supremazia sui Patriarcati di Alessandria e Antiochia, Gerusalemme e
Costantinopoli. Il Sacco di Costantinopoli, nel 1204, da parte dei Crociati
riafferma, con inaudita violenza, questa rottura tra Europa occidentale latina
ed Europa orientale greca, poi slava.
Più tardi, una
terza Europa appare con la Riforma
Protestante, che ricopre, essenzialmente, l’area culturale
germanica, intersecandosi tra le altre due, senza pervenire, tuttavia,
nonostante la disastrosa Guerra dei Trenta Anni [1618-1648], a spezzare
l’influenza dell’Occidente cattolico
e romano, che regnava da Vienna alla Sicilia. Il seguito di questa tragica
storia è conosciuto: è quello di una doppia guerra civile che ha opposto, tra
il 1915 e il 1945, da un lato – e, forse, si spera, per l’ultima volta – i
resti dell’Impero di Occidente di Carlomagno, diviso tra una parte continentale
[asse Berlino-Vienna-Roma] e una parte atlantica [asse Parigi-Londra-Washington],
e parallelamente, fino a oggi, le due metà separate dell’antica Europa romana:
l’Oriente ortodosso e comunista all’Occidente cattolico e protestante,
laicizzato. Questo ultimo scontro, nonostante la caduta dell’utopia comunista,
prosegue, in modo larvato, e minaccia di riprendere proporzioni drammatiche,
come testimoniano i conflitti nei Balcani, attizzati dall’ingerenza aggressiva
degli Stati Uniti e dai loro alleati occidentali.
- Esiste un popolo europeo o occidentale?
“Iniziamo dall’Europa, per la varietà di forme,
e la virtù degli uomini e delle forme politiche, e la grande disponibilità di
beni, e, poi, è abitabile nella sua totalità.”
Strabone [58 a.C. ca.-21/25 a.C. ], Geografia, II, 5,
26
La domanda può
sembrare assurda, dopotutto, perché i cittadini dell’Ovest europeo non hanno
scelta: sono occidentali, per geografia e civiltà. Ma avremmo qualche
difficoltà a chiamare orientali gli europei dell’Est: da un lato, dal 1989, l’Europa
orientale non esiste più veramente come un blocco politicamente distinto, la
maggior parte dei suoi Stati si sono riuniti all’Occidente; dall’altro, il
termine designa, oggi, gli abitanti dell’Estremo Oriente, loro stessi più o
meno occidentalizzati nei loro costumi e nella loro ideologia.
È Isidorus
Pacensis o Isidoro di Badajoz o di Beja, che, per primo, nel 769 d.C., menziona
gli europei, Europenses [soldati di contrade diverse che
andavano dall’Aquitania alla Germania e formavano l’armata del Maire du Palais], descrivendoci la loro
gioia di tornare vittoriosi dalla Battaglia di Poitiers, nel 732, contro gli
invasori arabi. La battaglia era durata sette giorni, al termine dei quali, gli
europei avevano visto, con l’aiuto del cielo, le tende del campo nemico:
“Statim nocte praelium dirimente, despicabiliter gladios
elevant, atque in alio die videntes castra Arabum innumerabilia ad pugnam sese
reservant et exsurgentes de vagina, sua diluculo
prospiciunt Europenses Arabum tentoria ordinata, et tabernacula ubi fuerant
castra locata, nescientes cuncta esse pervacua, et putantes ab intimo esse
Saracenorum phalanges ad praelium praeparatas, mittentes exploratorum officia,
cuncta reperunt Ismaelitarum agmina effugata, omnesque tacite pernoctando
cuneos diffugisse repatriando.”
Ma le tende degli arabi erano vuote, ai guerrieri di Carlo Martello
[690 ca.-741], dopo il saccheggio, non restava più che tornarsene, festanti,
ciascuno al proprio Paese:
“Europenses vero,
soliciti ne per semitas delitescentes aliquas facerent simulanter celatas,
undique stupefacti in circuitu sese frustra recaptant, et qui ad persequentes
gentes memoratas nullo modo vigilant, spoliis tantum et manubiis decenter
divisis in suas se laeti recipiunt patrias.”
Con
l’occidentalizzazione del mondo, oggi, quasi totale, incontestabile,
l’Occidente non ha più un luogo geografico preciso.
Secondo Oswald Manuel Arnold Gottfried Spengler [1880-1936], il termine
designa una civiltà animata da uno spirito di conquista faustiana o prometea,
che è, nonostante le apparenze, entrata in una lunga fase di declino dal
Rinascimento.
Più recentemente,
Samuel Phillips Huntington [1927-2008], ha riproposto la nozione di civiltà
come un insieme di valori condivisi. Huntington non è, forse, il primo ad aver intravisto
uno scontro delle civiltà nel mondo, tuttavia, il suo libro, The Clash of
Civilizations and the Remaking of World Order [1996], che sviluppa una tesi che aveva, già, espresso, nel 1993, in un articolo
apparso sulla rivista Foreign Affairs, è divenuto un
riferimento obbligato dopo l’11 settembre 2001. Molti intellettuali e politici
si sono ben guardati dal vedere negli attentati al World Trade Center e nella replica americana, in Afghanistan,
l’inizio di uno scontro larvato tra Occidente e Islam, per timore di
accreditare le tesi di Huntington. In sostanza, Huntigton pretende che, dalla
fine della guerra fredda, sono le identità e la cultura a generare i conflitti
e le alleanze tra gli Stati, e non le ideologie politiche o la opposizione
Nord-Sud. Il mondo ha, così, tendenza a dividersi in civiltà che inglobano più
Stati. Non vi è, dunque, coincidenza tra
Stato e civiltà. Per Huntigton, la civiltà rappresenta la entità culturale più
larga. La civiltà “è il modo più elevato
di raggruppamento e il livello più alto di identità culturale di cui gli esseri
umani hanno bisogno per distinguersi dalle altre specie. Si definisce, al
contempo, attraverso elementi oggettivi, quali la lingua, la storia, la
religione, i costumi, le istituzioni e attraverso elementi soggettivi di
auto-identificazione.” Secondo
Huntington, sette o otto civiltà si dividono il mondo, sebbene non ne citi che
cinque, la cinese, la giapponese, l’induista, la musulmana e l’occidentale. Non
considera l’Africa come una civiltà in sé – diversamente da Fernand Braudel
[1902-1985] –, preferendo riunire il continente alle altre civiltà. Riguardo
all’America Latina, adotta una posizione ambivalente: talora, la considera una
sotto-civiltà dell’Occidente, talora vi vede una civiltà distinta, incombente
per gli Stati Uniti. Il mondo internazionale del dopo-guerra fredda è divenuto
multi-civilizzazionale, secondo Huntigton, perché l’Occidente ha cessato di
dominare il sistema internazionale con la fine dell’Imperialismo coloniale e la
cessazione delle ostilità tra Stati occidentali. Gli Stati delle altre civiltà
si sono, a loro volta, inseriti in questo sistema per interagire gli uni con
gli altri. Così, grandi che siano state la potenza dell’Occidente e la attrattiva
della sua cultura per le altre civiltà, la diffusione delle idee occidentali
non ha prodotto una civiltà universale. Le civiltà esposte alle idee
dell’Occidente ne hanno fatto propri i savoir-faire,
senza tuttavia sposarne tutti i valori, come l’individualismo, lo Stato di
diritto e la separazione tra spirituale e temporale. La modernizzazione degli
Stati non-occidentali non ha portato, pertanto, la loro occidentalizzazione, ma
rafforzato, piuttosto, l’attaccamento alla propria civiltà. Parimenti per la
democratizzazione di diversi Paesi non-occidentali; la democrazia ha portato al
potere partiti ostili ai valori occidentali. Secondo Huntington, si sta
stabilendo un nuovo rapporto di forze tra le civiltà. Mentre l’Occidente vede
la sua influenza e la sua importanza relative declinare, le civiltà asiatiche
guadagnano in potenza economica, militare e politica e riaffermano i propri
valori. Conoscendo una crescita demografica rapida, l’Islam è in preda a
rivalità intestine e destabilizza i suoi vicini. La spinta demografica
dell’Islam si accompagna a una risorgiva della religione islamica che, in
diversi Paesi, si è palesata con l’ascesa del fondamentalismo, in particolare
tra i giovani. Huntington, infine, stima che la sopravvivenza dell’Occidente
dipenda dalla capacità e dalla volontà degli americani di riaffermare la loro
identità occidentale, fondata sull’eredità europea. Il libro di Huntignton è,
al contempo, una teoria delle relazioni internazionali e una critica del multi-culturalismo
come politica interna. Imputa al multi-culturalismo americano di voler creare “un Paese
dalle civiltà multiple, vale a dire un Paese che non appartiene ad alcuna
civiltà e sprovvisto di una unità culturale”. Ritiene che lo
scontro tra i sostenitori del multi-culturalismo e i difensori della civiltà
occidentale costituisca il “vero conflitto” negli Stati Uniti. Se questi ultimi
dovessero disoccidentalizzarsi, l’Ovest si ridurrebbe allora all’Europa,
anch’essa alle prese con l’irruzione dell’Islam. Per arrestare il declino
dell’Occidente, Europa e America del Nord dovrebbero ricercare una integrazione
politica ed economica, come pure allineare i Paesi dell’America Latina
all’Occidente, impedire al Giappone di staccarsi dall’Ovest, frenare la potenza
militare dell’Islam e della Cina, mantenendo la superiorità tecnologica e
militare dell’Occidente sulle altre civiltà.
Questo schema esemplificativo si
accorda molto bene con la paranoia americana di fronte al risveglio della Cina
e dell’Islam e non fa spazio ad alcuna potenza europea distinta. La tesi di
Huntignton, che si ricollega alle riflessioni strategiche di Zbigniew Brzezinski [1928], è dettata
da un opportunismo geopolitico, più che dall’osservazione dei fatti. Il suo leitmotiv
può riassumersi in questo appello:
“Occidentali di tutti i Paesi unitevi dietro la bandiera
stellata di fronte alle minacce barbare!”
L’America
anglo-sassone, riconosciamolo, gode di una posizione egemonica incontestabile
nel mondo dalla caduta dell’Unione Sovietica. È, inoltre, – e ciò, dall’origine
della sua conquista dell’Ovest – la punta di diamante del dispositivo tecnico
ed economico di occidentalizzazione del mondo e di mondializzazione dei
mercati. Il punto debole dell’America, il difetto della sua corazza risiede, fin
dall’inizio, nell’eterogeneità della sua costituzione etnica e culturale, nel
poco di profondità della sua storia e delle sue tradizioni. La maggioranza WASP [acronimo di White Anglo-Saxon Protestant, che,
in inglese, significa anche vespa, per indicare un cittadino statunitense,
discendente dei colonizzatori originari inglesi, non appartenente, quindi, a
nessuna delle tradizionali minoranze: nativi americani, afro-americani, ebrei,
irlandesi, italiani, ispanici, europei orientali slavi, asiatici] si sente
defraudata delle sue prerogative dalle potenti lobbies etniche, affariste e mafiose che si dividono, oggi, il
potere negli Stati Uniti. Nel mondo, si mormora che l’America, caos di popoli e
di culture, senza tradizione unificatrice, miri ad abolire ciò che non ha mai
posseduto: tutte le tradizioni plurimillenarie che sono sopravvissute al rullo
compressore della modernità conquistatrice. Senza andare fino alla tesi, non
dimostrabile, del complotto in questo senso, si può constatare che è,
effettivamente, ciò che accade sul terreno: laddove appaiono i prodotti della
civiltà occidentale americana, inclusa l’Europa, questi stessi si insediano,
scalzando la cultura locale. Ma l’ideologia occidentalista [Aleksandr Aleksandrovich Zinovyev] si
impone ancora più efficacemente con la diffusione delle regole di produttività
e di mercato, “delocalizzanti” e sradicanti, legate agli investimenti e ai
prestiti concessi dagli organismi internazionali.
Sarebbe illusorio
pensare che le barriere doganali possano bloccare il meccanismo. Il fallimento
dei tentativi autarchici, nazionalisti o comunisti, è una grande lezione del XX
secolo. La soluzione è piuttosto da ricercare in un ritorno di coscienza etnica
o culturale, riscontrabile un poco ovunque, in questo momento, che permetta di
limitare gli eccessi del processo di mondializzazione e di riorientarne le
opzioni nel senso scelto dai popoli destinatari. L’Europa ha un ruolo-chiave da
svolgere in materia, perché è, innegabilmente, la matrice della civiltà
occidentale, monoteista e prometea, la cui fiaccola è stata ripresa
dall’America. Ma la sua cultura-madre di origine indo-europea, greco-romana,
germanica o slava, resta vivente nelle profondità del suo inconscio collettivo,
nella memoria e nella tradizione occultate, sempre pronte a riemergere in tempo
di crisi, con tutte le loro risorse. L’America, pollone tardivo della civiltà,
è il vettore essenziale dell’Occidente, il conquistatore dell’Ovest per
eccellenza.
L’Europa è, per forza di cose, l’Occidente. Ma non è solo
l’Occidente. Figlia della Grecia, l’Europa nasce alla fonte della tragedia
e della politica. Il ricorso a questa eredità oscurata potrà, forse, salvarla
dalle impasses occidentaliste e
tracciare una nuova via verso un avvenire che, al di là del nihilismo attuale,
non può riannodare con la storia e il destino, il tragico e il politico. In
breve, l’Europa non è, certo, più completamente se stessa, sotto l’influenza
del modernismo occidentale; ma non è neppure ancora perfettamente
occidentalizzata come l’America. La sua identità composita euro-occidentale
cerca una via propria nei labirinti intricati della tecno-struttura mondialista
e a fronte delle ambizioni geopolitiche dell’America totalitaria. Questa
ricerca di indipendenza può, inoltre, renderla solidale con le etno-resistenze
che, qui e là, tentano di spezzare le catene dell’influenza occidentalista. Il
risveglio di una coscienza culturale europea, sola alternativa che possa trarci
dall’implosione attuale, è portatore di un nuovo rapporto con la tecno-struttura
anonima che manipola il destino dei popoli senza il loro consenso. Implica
anche una geopolitica di riconoscimento e di coesistenza dei popoli e delle
loro tradizioni in seno al sistema-mondo, in luogo della loro negazione, quale
è praticata dall’Occidente. Per il momento, il Vecchio Continente non sembra
disposto ad accettare questa sfida, ma l’aumento delle minacce legate
all’apertura storica presente, la nuova multi-polarizzazione del mondo e la
necessità di opporre un contro-potere alla dittatura americana potrebbero
costringerla, prima di quanto creda, a darsi la politica dei suoi mezzi.
Al tempo
della guerra fredda, l’Europa era divenuta la prima linea difensiva
dell’America. Era anche una prova tangibile del successo della politica
americana del dopo-guerra. La sagace generosità del Piano Marshall aveva pagato,
l’Europa dell’Ovest non era divenuta comunista e non aveva raggiunto il blocco
sovietico. L’America, come Monsieur Perrichon, l’eroe di Le Voyage de Monsieur Perrichon [1860] di Eugène Labiche
[1815-1888], ci amava, tanto più che ci aveva salvati. Le difficoltà
dell’Europa richiamano l’America alle sue. Di riflesso ai suoi successi,
l’Europa è divenuta uno specchio dei suoi limiti. Non è abbastanza dire che la
crisi europea intervenga in un difficile momento per gli Stati Uniti, che rende
ancora più aleatoria la speranza di una ripresa economica, prima della scadenza
elettorale delle Presidenziali americane.
Barack Hussein
Obama [1961] ha ignorato l’Europa, l’Europa si porta alla sua attenzione. La
crisi europea ha, certo, cadute dirette sulla economia americana, ma forza, soprattutto,
gli Stati Uniti a far fronte a ciò che loro rifiutano, ancora, di fare: l’ingresso
in un mondo che non dominano più come facevano ieri. A tale proposito,
l’appello di aiuto dell’Europa alla Cina, quale che sia la risposta poco
entusiasta di quest’ultima, è particolarmente difficile da accettare per
Washington. Simboleggia le trasformazioni profonde del mondo. Nel 1950,
l’Occidente dietro gli Stati Uniti rappresentava il 68% della ricchezza
mondiale. È meno del 43%, oggi, e non dovrebbe essere che il 32%, nel 2050,
secondo le proiezioni di istituzioni finanziarie, quali la Goldman Sachs
[1869]. La Cina
è, già, la seconda potenza economica mondiale e il Brasile sta per divenire la
sesta economia del pianeta, superando, così, la Gran Bretagna.
Anche se volesse
venire in aiuto dell’Europa, l’America ne sarebbe ben incapace!
Sarebbe crudele
evocare, qui, la storiella del cieco e del paralitico per descrivere lo stato
di decadenza competitiva, che caratterizza, ormai, le relazioni tra America ed
Europa. Certo, l’America spera, sempre, di poter fare assegnamento sull’Europa.
Su tale punto, la
riuscita della NATO in Libia appare un precedente felice, ma può servire da
modello?
Un dittatore è
caduto per un costo – agli americani piace sottolinearlo – insignificante per
Washington, lo 0,1% del costo del loro impegno in Afghanistan.
L’America può non
essere in prima linea?
Certo, non è
stata l’Unione Europea, ma, essenzialmente la Francia e la Gran Bretagna ad
avere svolto un ruolo di primo piano in questa avventura singolare. Ma
l’America, grazie alle potenze europee, non si è sentita sola nel suo “interventismo
umanitario”, ha trovato dei relais.
Dove li troverebbe
domani se l’Europa, in piena tempesta finanziaria, politica e identitaria, si
trovasse costretta a ripiegare su se stessa per curarsi le ferite?
Il sogno
dell’America era di non doversi più preoccupare dell’Europa, considerata una
questione regolata e superata.
Si è resa conto
che non è così.
Daniela Zini
Copyright © 12
giugno 2012 ADZ
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