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giovedì 16 febbraio 2017

LETTERE DALLA SIRIA Lettera 10 20 aprile 2012 (traduzione di Daniela Zini)



 LETTERE DALLA SIRIA

Lettera 10



20 aprile 2012



“Cosa ne pensate dei bambini che manifestano?”,

ha domandato Soha.

Qualcuno ha risposto:

“E perché non dovrebbero manifestare? I bambini non hanno, anche loro, il diritto di partecipare alla costruzione del loro avvenire?”

Una donna ha soggiunto:

“Non si possono mettere al riparo i bambini di ciò che accade, soprattutto nei quartieri in rivolta. Questi bambini hanno visto, almeno, le retate nelle loro case, l’arresto dei loro familiari, i proiettili sparati colpendo a caso... che hanno raggiunto, loro e i loro familiari, fino a casa loro.”

Qualcuno ha rincarato:

“Le mogli di prigionieri e le vedove dei martiri non riescono più a trattenere i loro figli. Soprattutto i ragazzi.”

Pensavo a tutti i bambini che avevo conosciuto da quando avevo iniziato a fare le visite a casa loro, un anno fa, e di cui mi avevano raccontato la storia.   

Hadi ha quattro anni. Vi erano state retate, di continuo, a casa sua, perché cercavano suo padre che era fuggito. Sua madre ci aveva raccontato come, una mattina, un commando avesse saltato il muro esterno della casa. Erano più di dieci uomini in uniforme militare. Avevano puntato i loro fucili sulle due figlie e sul bambino. La madre era a quel punto del racconto quando il piccolo l’aveva interrotta:

“Facevano così!”,

(Puntando su di noi il suo fucile di plastica.)



“Allora, io mi sono alzato e ne ho colpito uno così!”,

(Dando una gomitata nell’aria.)

“Poi, io gli ho preso il fucile dalle mani e… tac tac tac!

Rifletté un istante e aggiunse :

“No… tranne uno… No, no… tranne due!” 

Noi ci siamo, a lungo, chieste perché avesse “risparmiato” quei due soldati. E, poiché era fuori luogo porgli la domanda, noi siamo giunte alla conclusione che gli avessero, forse, sorriso…



P.S.

Io stavo per dimenticare di dirti che, alla fine della conversazione, noi ci siamo trovate d’accordo sul fatto che il primo diritto dei bambini è il diritto di vivere…


(traduzione di Daniela Zini)







domenica 12 febbraio 2017

LETTERE DALLA SIRIA Lettera 9 22 marzo 2012 (traduzione di Daniela Zini)



LETTERE DALLA SIRIA

Lettera 9

22 marzo 2012

Buongiorno!
Ieri, sono andata con un’amica a trovare, nella periferia di Damasco, una nostra conoscente. Quest’ultima ci ha proposto di andare a fare le condoglianze alla madre di un giovane ucciso, una settimana prima.
Era impossibile rifiutare.
Abbiamo portato dei fiori, perché era la festa della mamma.
Si è seduta di fronte a noi.
Per avviare la conversazione, le abbiamo chiesto cosa fosse accaduto.
Ha risposto che non le avevano reso il corpo di suo figlio.
I notabili della città erano andati alla sede dei mukhabarat [servizi segreti] e all’ospedale militare, dove era, forse, deceduto; ma si erano sentiti rispondere che non era là. Avevano chiesto a tutte le sedi dei mukhabarat [servizi segreti] e a tutti gli ospedali, ma tutti avevano negato di ospitare il giovane o di essere in possesso del suo cadavere.
Ci ha raccontato che era, già, stato arrestato, due volte, e che i segni delle torture erano stati, sempre, visibili sul suo corpo.
“Un giorno, mi ha detto che era mille volte meglio morire che essere arrestati. La terza volta che sono venuti a cercarlo, è fuggito di casa. Si è nascosto in una fattoria con alcuni amici. Ma le forze di sicurezza li hanno circondati. Hanno cercato di salvarsi in auto, ma sono stati colpiti da un colpo di mortaio. Quattro di loro, che stavano sul sedile posteriore, sono stati uccisi sul colpo. Non ne rimanevano che tre, compreso lui. Ma era ferito e sanguinava. Ha detto ai suoi amici, che lo avevano portato a una certa distanza: 
“Lasciatemi e salvatevi. È preferibile che voi due vi salviate anziché morire tutti e tre.”
Allora, lo hanno lasciato recitare le due chahadas, e sono fuggiti via. È da loro che ho appreso la storia.”
Gli stessi giovani avevano raccontato a sua madre che, sul cammino, avevano visto un custode che lavorava in una fattoria vicina, al quale avevano affidato il ferito.
La madre era andata a chiedere a quell’uomo.
Le aveva risposto che i carri avevano portato via il giovane.
Non ha rivisto il corpo di suo figlio.
Non sa dove si trovi.
Concluse la sua storia con un lungo sospiro.
Poi, ci guardò e disse:
“Forse, è vivo…
Forse, è riuscito a fuggire da solo…
Forse, il custode lo ha raccolto e lo ha curato senza dirmelo…
Forse, nel carro, vi era un soldato buono, che si è mosso a compassione e lo ha portato da qualche parte perché lo curassero…”
Poi, abbassò la testa e le lacrime colarono dagli occhi:
“O, forse, è morto e hanno utilizzato il suo corpo per le esplosioni di piazza Tahrir…
Talvolta, mi dico che hanno, forse, preso i suoi organi, perché era, ancora, vivo.
O, allora, forse…”
Le lacrime la soffocavano e noi piangemmo insieme a lei.
Sì, tutte queste ipotesi sono verosimili.  
E, forse, non accadono che in Siria.


 (traduzione di Daniela Zini)

giovedì 9 febbraio 2017

LETTERE DALLA SIRIA Lettera 8 28 maggio 2012 (traduzione di Daniela Zini)



LETTERE DALLA SIRIA



Lettera 8



28 maggio 2012



Buonasera.

Come sai, le notti sono lunghe in Siria. Ma la notte del massacro di Houleh è stata la più lunga di tutte.

Da quando la notizia si è diffusa, dopo la mezzanotte, la maggior parte delle regioni e delle città della Siria si sono risvegliate.

Nel mio quartiere la gente è uscita dalle case e si è messa a manifestare.

Le loro voci, che erano potenti, sono giunte agli agenti di sicurezza.

Sono arrivati… e hanno aperto il fuoco.

Sembrava di essere al fronte.

Io sentivo tutto dalla finestra.


Io cercavo di immaginare il coltello alla gola dei miei bambini.

Tremavo di paura.

Li abbracciavo e piangevo.

Poi, sono tornata a letto, pregando Dio che quel massacro non fosse vero.

Come credere che vi siano, davvero, vampiri nella nostra società?

L’indomani sera, siamo andati in piazza Hariqa  a recitare la Fatiha per il riposo della loro anima.

L’appello a questo raduno era stato, largamente, diffuso su Facebook.  

È per questo che eravamo attesi.

Fucili e bastoni…

Abbiamo deciso di non lasciarci intimidire.

Ci siamo raccolti e, le mani alzate verso il cielo, abbiamo recitato la Fatiha, con voce forte e decisa.

Avevamo, appena, finito che ci sono piombati addosso con i manganelli.

La mia spalla, posso dirtelo, mi fa ancora male. Ma l’odio che portano ai giovani è inimmaginabile. Li colpiscono con smodata brutalità, per rompere loro, deliberatamente, le costole. Ne hanno preso uno. Ma noi donne ci siamo avvinghiate a lui, lo abbiamo liberato e  siamo fuggite con lui.

Abbiamo attraversato il souk Hamediyeh.

Gridava:

“Quale orrore!

Gente di Damasco!

Sono siriani a essere uccisi!

Sono la vostra carne e il vostro sangue!

Avete paura per i vostri affari?

Io, io ci sputo sul danaro!”

Oggi, quando ho appreso che i commercianti del souq Hamediyeh avevano scioperato e chiuso i loro negozi, ho pensato che le sue parole avessero dovuto colpirli diritto al cuore.


(traduzione di Daniela Zini)