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Informazioni personali

mercoledì 1 agosto 2012

IRAN IL PAESE DELLE ROSE IX. LA RIVOLUZIONE DIGITALE


“Viaggiare è il più personale dei piaceri. […]”
con questa frase Vita Sackville-West introduce i suoi ricordi di viaggio in Persia.

IRAN
il paese delle rose

“[…]
Hame-ye alam tanast va Iran del
Nist qaviyande zin qiyas khejel
[…]”
Nezami Ganjavi, Haft peykar

IX. La rivoluzione digitale
Tre anni dopo la rielezione contestata di Mahmud Ahmadinejad alla presidenza della Repubblica Islamica, il Jonbesh-e Sabz [Movimento Verde] è, sempre, verde?

di
Daniela Zini


“Se non potete eliminare l’ingiustizia, almeno raccontatela a tutti.”
Shirin Ebadi [1947], La gabbia d’oro [2008]

Taraneh Mousavi [1991-2009]


a Gianmarco Murru, direttore di Mediterranea e mio Amico
“Dio ha dato un fratello alla speranza: si chiama ricordo.”
Michelangelo Buonarroti [1475-1564]
Molti, nel nostro tempo, forse, tutti, vogliono iniziare qualcosa, inventare cose nuove, aprire vie inedite e, talora, inaudite.
La mia ambizione è più modesta: finire, concludere.
Io non cerco di essere colei che ha indicato il cammino.


Primo Paese musulmano a essersi sollevato contro il proprio governo, nel giugno del 2009, l’Iran sembra, oggi, all’abbandono, confrontato ai successi della primavera araba. Tre anni dopo la rielezione contestata di Mahmud Ahmadinejad [1956] alla presidenza del Paese, che ha provocato la più grave crisi che abbia conosciuto la Repubblica Islamica, il movimento verde di contestazione sembra essere scomparso.
Ma non è così!
Lo scontento popolare e la frustrazione che hanno portato gli iraniani in strada, nel 2009 e nel 2010, non sono scomparsi e si sono, perfino, accentuati, ma l’esperienza deludente della rivoluzione del 1979 ha opposto molti iraniani nella prospettiva di un altro cambiamento brusco. Mentre la parola rivoluzione possiede, oggi, nelle strade arabe, anche una connotazione romantica, in persiano, è una parola che rappresenta il passato, non l’avvenire.
Disponendo, nel febbraio del 2011, gli arresti domiciliari per i due ex-candidati riformisti Mir-Hossein Mousavi Khameneh [1942] e Mehdi Karroubi [1937], il regime islamico ha realizzato un colpo da maestro, privando il movimento dei suoi due leaders. Da allora, più nessuna manifestazione ha galvanizzato il Paese. Il popolo iraniano non vuole una guerra civile, non vuole che la gente muoia. Sette anni di cattiva gestione del governo Ahmadinejad, associati alle sanzioni occidentali sul programma nucleare iraniano, hanno, considerevolmente, deteriorato la vita quotidiana degli iraniani, facendo della questione economica la principale preoccupazione della popolazione. Agli inizi di giugno, in seguito all’aumento del prezzo del pane e del latte, il cui costo è deciso dallo Stato, è circolato un sms sui cellulari:
“Sabato, domenica e lunedì [dal 23 al 25 giugno, N.d.T.], non acquisteremo né latte né pane, in segno di protesta contro il rincaro dei prezzi e l’inflazione. Restiamo uniti!”
Il tasso di inflazione, in Iran, ha raggiunto il 21,5%, il marzo scorso, secondo la banca centrale iraniana. E, con l’entrata in vigore, il primo luglio scorso, dell’embargo europeo sul petrolio iraniano, la situazione non potrà, innegabilmente, migliorare. Una situazione disastrosa che dovrebbe favorire la contestazione popolare.
Ma non è così!
Se le classi urbane hanno, particolarmente, sentito gli effetti di questi ultimi anni, l’erogazione di aiuti governativi ha permesso alle classi modeste di superarli.
Dove trova il governo tutti questi fondi?
La grazia salvifica del regime iraniano è il prezzo elevato del costo del petrolio. Il governo Ahmadinejad ha guadagnato, in sei anni, 500 miliardi di dollari grazie all’oro nero, vale a dire la metà delle entrate petrolifere guadagnate in tutta la storia dell’Iran. Se questa manna ha permesso al presidente di evitare la bancarotta, non gli ha impedito di essere, progressivamente, allontanato dal potere in favore dei più intimi della guida suprema. Mahmud Ahmadinejad non è, infatti, sfuggito alla sorte dei suoi predecessori: colui che si presentava come il “figlio” della guida suprema è stato spogliato dei suoi poteri, bloccato nelle sue iniziative, liberato alla muta di deputati ostili. Nel mese di marzo, ha subito il disonore di essere il primo presidente, dalla rivoluzione, a essere stato convocato dal parlamento. Anche lui sarà, dunque, inghiottito da questa rivoluzione che, dal suo inizio, divora i suoi figli l’uno dopo l’altro, i prodigi come i prodighi. Le ultime elezioni legislative hanno, infatti, coronato i conservatori moderati devoti all’ayatollah Seyyed Ali Hosseini Khamenei [1939], che hanno riportato il 54% dei seggi del parlamento rispetto agli ultraconservatori di Ahmadinejad. Nel suo ultimo anno di mandato, lo “spazzino” della Nazione, che non potrà ambire, di nuovo, alla presidenza, nel 2013, dovrà venire a patti con una maggioranza a lui ostile, che accusa, lui e i suoi consiglieri, di aver iniziato una corrente deviazionista, che cerca di limitare il ruolo politico del clero sciita. Quanto ai riformisti, totalmente eliminati, che avevano fatto appello a una astensione massiva, hanno gridato alla frode, apprendendo che il 64% degli elettori si era recato alle urne nelle 33 circoscrizioni iraniane. E, sono rimasti inebetiti, quando hanno appreso che l’ex-presidente e leader riformista, Seyyed Mohammad Khatami [1943], aveva votato in segreto, legittimando, di fatto, lo scrutinio.
“Nessun riformista si è candidato e io non ho votato nessun candidato, ho votato solo per la Repubblica Islamica.”
Il tasso di partecipazione ha raggiunto il livello record dell’80%, nelle elezioni presidenziali del 1997, che avevano dato la vittoria al riformista Mohammad Khatami. Dalla sua parte le donne e i giovani. In un clima di diffusa delusione per le riforme mancate, solo il 60% degli elettori aveva votato, nelle elezioni presidenziali del 2005, che aveva portato Mahmud Ahmadinejad al potere.


Alle mie Sorelle

Sorgete dietro la vostra libertà,
Sorelle mie, perché restate zitte?
Sorgete che dovete bere, d’ora in poi,
Il sangue degli uomini tiranni.

Reclamate i vostri diritti, o mie Sorelle,
Da coloro che vi chiamano deboli,
Da coloro che con cento inganni e artifici
Vi relegano in un angolo della casa.

Fin quando sarete oggetto della voluttà e del piacere
Nell’harem della lascivia dell’uomo?
Fin quando prostrerete la vostra orgogliosa testa
Ai suoi piedi come umili schiave?

Questo lamento di rabbia deve diventare,
Senza dubbio, urlo e grido.
Dovete spezzare queste pesanti catene
Affinché la vita si liberi a voi.

Sorgete ed estirpate la radice dell’oppressione,
Date quiete al cuore pieno di sangue,
Battetevi per garantire
La legge per la vostra libertà.

Forugh Farrokhzad [1935- 1967]
traduzione dal  persiano di Assunta Daniela Zini
Copyright © 2012 ADZ

“Io voglio che il mio lettore, chiunque egli sia, pensi a me solo, non alle nozze della figlia o alla notte con l’amante o alle insidie del nemico o al processo o alla casa o al podere o al tesoro; e almeno finché legge, voglio che sia con me.
Se è preoccupato dai suoi affari, differisca la lettura; quando si avvicinerà a essa, getti lontano da sé il peso degli affari e la cura del patrimonio...
Non voglio che apprenda senza fatica ciò che senza fatica non ho scritto.”
Francesco Petrarca [1304-1374], Fam., XIII, 5, 23
Le donne hanno sempre avuto un passato da portare e un silenzio difficile da vivere, un giardino segreto dove nascono i fiori della speranza, quella cantata da Omar Khayyam [1048-1131] “zefiro di primavera sulla fronte delle rose” e da Hafez [1315-1390] “giardino, primavera e dolce commercio”. Ad alcune di loro la vocazione poetica non deve essere stata estranea, come non può mancare dove i sentimenti sono intensi e la coscienza è chiara. Nel filare, tessere, ricamare, cucinare, arredare, educare, favoleggiare, avevano occasione di percepire i segnali estetici che ai loro padri, fratelli, mariti, provenivano dall’armare navi, elevare templi, compiere massacri.
In una creatura che è stata programmata per essere dominata, l’intelligenza è una qualità scomoda da scoraggiare sul nascere, per non darle modo di prendere coscienza di sé. Al contrario, viene celebrata la superiorità dell’intuito femminile perché a chi domina fa molto comodo che i propri desideri siano compresi, ancora prima di essere formulati, e soddisfatti da una creatura condizionata ad anteporre i bisogni altrui ai propri e, spesso, a scapito dei propri.
La parità di diritti con l’uomo, la parità salariale, l’accesso a tutte le carriere sono obiettivi innegabili e, almeno sulla carta, sono, già, stati offerti alle donne nel momento in cui l’uomo lo ha giudicato conveniente. Resteranno, tuttavia, inaccessibili alla maggior parte di loro finché non saranno modificate le strutture psicologiche che impediscono alle donne di desiderare fortemente di farli propri. Sono queste strutture psicologiche che portano la persona di sesso femminile a vivere, con un senso di colpa, ogni suo tentativo di inserirsi nel mondo produttivo, a sentirsi fallita come donna, se vi aderisce, e a sentirsi fallita come individuo, se, invece, sceglie di realizzarsi come donna.
Non mi rammarico, certo, di essere nata donna, al contrario, ne traggo grande soddisfazione. Di solito mi sono sentita bene nella mia pelle e ho avuto fiducia nella mia buona stella. Ho, anche, spinto la mia fiducia nell’avvenire fino alla sventatezza: non avevo creduto alla guerra prima che scoppiasse. Adesso sto più attenta. Mi piace guardare in volto la realtà e parlarne senza abbellirla. Non sopporto l’infelicità e sono poco incline a prevederla; quando la incontro, mi indigna e mi sconvolge e provo il bisogno di comunicare la mia emozione. Per combatterla, bisogna, prima, rivelarla, e, pertanto, dissipare le mistificazioni, dietro le quali si nasconde per evitare di pensarvi. È proprio perché rifiuto le evasioni e le menzogne, che mi si accusa di pessimismo, ma questo rifiuto implica una speranza: che la verità può essere utile. È un atteggiamento più ottimistico che non scegliere l’indifferenza, l’ignoranza, le false apparenze. Dissipare le mistificazioni, dire la verità, è uno dei fini che ho, più ostinatamente, perseguito. Questa ostinazione ha le sue radici nella mia infanzia, non ho mai tollerato la stupidità: un modo per soffocare la vita e le sue gioie sotto i pregiudizi, le abitudini mentali, le false apparenze, le frasi vuote. La mia educazione mi aveva inculcato l’inferiorità intellettuale del mio sesso, inferiorità che molte delle mie coetanee ammettevano rispetto agli studenti maschi e che conferiva maggiore pregio ai miei successi. Mi era sufficiente eguagliarli per sentirmi eccezionale. In realtà, non ne avevo incontrato nessuno che mi avesse sbalordito. L’avvenire mi era aperto in misura eguale a loro. Non avevano alcun vantaggio su di me, né, d’altronde, lo pretendevano. Mi trattavano senza condiscendenza, anzi con una gentilezza particolare, poiché non vedevano in me una rivale. La loro simpatia mi evitò, sempre, di assumere quell’atteggiamento di sfida che trovo così sgradevole nelle donne americane. Gli uomini sono stati per me compagni, non avversari. Lungi dall’invidiarli, la mia posizione, in quanto singolare, mi sembrava privilegiata. Non ho mai rinnegato la mia femminilità. Mi piccavo di riunire in me un cuore di donna e un cervello di uomo.
Ogni parola che scrivo mi allontana un poco di più da quel che volevo esprimere in principio, ciò prova soltanto che il coraggio mi manca.
Per me, la scelta è fatta.
Si tratta di mentire o dimettersi.
Questo breve détour non è, forse, stato che un modo per differire una decisione presa nel 2003.
È nell’intento di ritrovare, a posteriori, una unità e una origine in una sorta di implosione primaria da cui tutto deriverebbe?
Forse.
Si invidia la mia libertà che si esagera, del resto. La vita fa in fretta a creare legami, che prendono il posto di quelli di cui ci credevamo liberati. Che si faccia e ove si vada, muri si levano intorno a noi e grazie a noi, riparo all’inizio e, ben presto, prigione. Che ne dicano o ne pensino Altri, io vado a raggiungere il gruppo, vagamente bieco, dei saltimbanchi e dei bohémiens di ogni genere, come avrebbe, senza dubbio, redarguito mia nonna: io sarò scrittore. Nomade ero, quando da fanciulla sognavo, guardando le strade, nomade resterò, per sempre innamorata di mutevoli orizzonti, di paesaggi ancora inesplorati…
La mia infanzia è trascorsa tra le rovine grigie, tra i ruderi e la polvere di un passato a me completamente ignoto. Estranea, malinconica tra tutte le bambine della mia età, dalla tetra imponenza di quei luoghi ho tratto un eccesso di fatalismo e di sogno.
Il mio padrino mi aveva, profeticamente, dato il diminutivo di Firouzeh.
Scrivo perché mi piace il processo creativo letterario, scrivo come amo, perché questo è il mio destino, la mia sola vera consolazione. Il mio destino letterario è ancorato a ciò che io ho designato, per tutta la mia vita, i miei progetti dei venti anni. A venti anni, avevo previsto circa due o tre dei miei libri e avevo iniziato a imbrattare molta carta. Allora, beninteso, mi ero caricata di un fardello che non potevo portare.
Sono certa che Mediterranea resterà fedele alla sua storia e formulo auspici per la sua indipendenza e prosperità. Lo show dell’attualità continua, anche Mediterranea. Tante ragioni, dunque, per restare collegati sul pianeta con Mediterranea. L’attualità continua e il 2012 promette delle belle bagarres elettorali e, forse, ahimè, altri conflitti.
L’Iran?
L’Iran evoca, oggi come ieri, l’immagine di un mondo molto lontano e misterioso.
Amo l’Iran di un amore oscuro, misterioso, profondo, inspiegabile, ma reale e indistruttibile. Dovrei, invece, trovare la forza di sottrarmi a questa malia…
Ma dove trovare il coraggio di reagire?
È un sentimento particolare... mi sembra di costeggiare un abisso, un mistero di cui non sia stata, ancora, svelata l’ultima… anzi, la prima parola, e che racchiuda tutto il senso della mia vita. Finché non conoscerò la chiave di questo enigma, non saprò chi sono, né la ragione e lo scopo della mia sorte davvero straordinaria.
Vi sono particolari momenti, misteriosamente privilegiati, in cui taluni Paesi ci rivelano, con una intuizione subitanea, la loro anima, in qualche modo, la loro essenza precipua, in cui ne cogliamo una visione esatta, unica, che, mesi e mesi di studio paziente, non potrebbero rendere più completa, né diversa. In questi momenti furtivi, tuttavia, ci sfuggono, necessariamente, dei dettagli, vediamo solo l’insieme delle cose.
Particolare stato d’animo o aspetto speciale dei luoghi, colto al volo e sempre in modo inconscio?
Non lo so…
Vi è stato un tempo in cui ero triste e anche un poco malata, con una inerzia intellettuale che mi faceva rabbia. Avevo avuto una di quelle crisi morali che lasciano l’animo abbattuto, come ripiegato su se stesso, a lungo incapace di percepire le impressioni gradevoli, sensibile solo al dolore…
Mi venne l’idea di scrivere fiabe per i miei Amici.
I miei libri sono nati così.
In civiltà intimamente in contatto con le forze elementari della natura, la fiaba non poteva che avere un grande ruolo: evocare, esorcizzare e fornire una chiave di lettura per quei fenomeni naturali e soprannaturali, che tanta parte avevano nella vita di ognuno. L’arte di raccontare fiabe, dicono alcuni, è morta e appartiene al passato. E le tradizioni orali sono destinate a perdersi per sempre, quando la vena si inaridisce e i tempi mutano, se qualcuno non inizia, con amore e pazienza, a raccogliere le ultime testimonianze disponibili.
Vi chiederete perché mai io, che non sono una orientalista, che mi ritengo, ragionevolmente, onesta, abbia ritenuto di scrivere dell’Iran.
Non ho commesso, forse, una indegnità, chiamando il pubblico a parte di questa mia deliziosa allucinazione che non posso mai rammentare senza commozione e senza rimpianto?
No, perché la percezione degli abissi, che la vita racchiude e che i tre quarti degli uomini ignorano, anzi, neppure sospettano, non può essere considerata follia, come non può esserlo il disinteresse di chi è nato cieco alla bellezza di un tramonto o di una notte stellata.
È facile tranquillizzare l’anima timorosa, turbata dalla vicinanza dell’Ignoto, con una spiegazione banale, attinta dalla falsa esperienza degli uomini e dal senso comune, accozzaglia informe di idee sconclusionate, cognizioni superficiali e ipotesi scambiate per realtà dalla incommensurabile vigliaccheria morale degli uomini!
Se la mia strana vita fosse il risultato dello snobismo, della posa, si potrebbe dire:
“Lo ha voluto lei…”
Invece no!
Mai essere umano ha vissuto più di me alla giornata ed è stato un inesorabile concatenarsi di eventi, non creati da me, a condurmi nel punto in cui mi trovo. Forse, tutta la stranezza della mia natura si riassume in questa caratteristica: cercare, a ogni costo, fatti nuovi, fuggire l’inazione e l’immobilità. Probabilmente non è assente una certa megalomania, una innocua esaltazione da lettrice di libri, il piacere di indulgere in una lussuosa stravaganza. Ma sospetto vi sia un richiamo più cattivante e sottile: il bisogno di sperimentare l’errore, in tutti i sensi di questa ambigua parola, un vagabondaggio mentale, la vocazione della strada sbagliata, della segnaletica infedele, della mappa disorientante. Il mio tentativo ha una scusante: le circostanze che lo hanno determinato. Ogni riflesso che tornava, tutte le sere, allo stesso posto, alla stessa ora, ogni cupola della città e ogni pietra del cimitero, tutti i più umili particolari di questa Patria di elezione, tanto amata, mi sono divenuti familiari e rimangono presenti nel ricordo nostalgico dell’esilio. Tutto l’odore del passato mi saliva alla testa. E ho chiuso gli occhi per respirarlo meglio e per rivedere dentro di me tutto ciò che era scomparso. Ma l’anima del Paese delle Rose mai si è rivelata più profondamente, più misteriosamente di quelle sere, già lontane nel retrocedere dei giorni.
Quelle ore, quelle ebbrezze provate una volta, per un caso straordinario, non le ritroverò più…
E, così, sono condannata a portare con me, per sempre inespressa, la mia infinita tristezza, tutto un mondo di pensieri, attraverso i Paesi e le città della terra, senza mai trovare l’Itaca sognata!
Ho voluto tentare di scrivere ciò che, ieri, mi ha fatto tanto soffrire e mi sembrava chiaro e indiscutibile…
Colei che vi apre le porte del Libro Mirabile, conosce tutto ciò che incontrerete; conosce le risposte agli enigmi; scioglie gli indovinelli; disperde gli incantesimi; riconosce chi si nasconde in un corpo, che una magia ha trasformato; rintraccia le strade dei pellegrini; sa dove approdano i naufraghi e quali segnali svelino e nascondano le severe bizzarrie del Fato.
Vi sono Paesi che muoiono giovani o si arrestano giovani: tutto ciò che segue al loro periodo di vigore riguarda la sopravvivenza o la resurrezione. L’Iran non si è, mai, ripreso dalle estenuanti fatiche delle sue avventure imperiali. E, solo ora, iniziamo a comprendere ciò che in questo Paese commuove e, a volte, sconvolge: in contatto diretto con la realtà, il peso bruto dell’oggetto, l’emozione o la sensazione forte e semplice, antica e sempre nuova, dura o dolce come la scorza o come la polpa di un frutto.
Questo Paese, così celebrato, è, meravigliosamente, immune da artifici letterari; lo stesso preziosismo di certi suoi poeti non la tocca.
Questo Paese, da cui sono scaturiti tanti capolavori, non viene sentito come l’Italia, subito Patria privilegiata delle arti, ma vi pulsa la vita come il sangue in una arteria.
Pochi Paesi sono stati più devastati dal furore delle guerre di religione, di razze e di classi; sopportiamo il ricordo di tanti furori inespiabili solo perché, qui, ci appaiono più nudi, più spontanei e meno ipocriti che altrove, quasi innocenti nel confessare il piacere che prova l’uomo a fare del male all’uomo.
Non vi è Paese più dominato da una religione possente, che favorisce, il più delle volte, la bigotteria e l’intolleranza, ma non vi è neppure Paese, ove si senta di più, sotto il broccato delle devozioni o sotto la pietra dei dogmi, sorgere il fervore umano.
 Non vi è Paese più legato, ma anche nessuno più libero da questa rudimentale e suprema libertà fatta di privazione, di povertà, di indifferenza, del gusto di vivere e del disprezzo di morire.
Aspetti tranquilli di un Paese senza età e senza troppo carattere.
Oggi, so che mai sarò, totalmente, separata, tagliata da questa terra.

Daniela Zini





Shirin Ebadi
Premio Nobel per la Pace 2003

پدر مرا ببخش که قدرت را ندانستم.
پدر مرا ببخش که در سالهای سختی که علیه رژیم ستم شاهی‌ مبارزه می‌‌کردی ترا یاری نکردم زیرا ابلهانه می‌‌پنداشتم، حکومتی که مجهزترین ارتش خاور میانه را دارد با فریاد چند روحانی ساقط نخواهد شد - حتما به یاد می‌‌آوری که حتی تا چند ماه مانده به پیروزی انقلاب، تعداد روحانیونی که مخالف شاه بودند، تا چه حد اندک بود- شاید هم از ترس چنین می‌‌اندیشیدم و می‌‌خواستم بی‌ تفاوتی خود را توجیه کنم.
پدر مرا ببخش، زمانی‌ که پس از تحمل سالها زندان و شکنجه، آزاد شدی برای تبریک به دست بوست نیامدم زیرا که جاهل بودم. نمی‌‌دانستم در زندان تو تنها پناهگاه زندانیان بودی. نمی‌‌دانستم چه نقش مهمی‌ در نزدیک ساختن گروههای مسلمان مبارز و چپ انقلابی‌ داشتی.
پدر مرا ببخش، زمانی‌ که همراه آیت الله خمینی به تهران آمدی و مهمترین مشاور سیاسی رهبر انقلاب بودی، درایت و تیزهوشی ترا نادیده گرفتم و معنای سخنانت را نمی‌‌فهمیدم.
پدر مرا ببخش، هنگامی که در آذر ماه ۱۳۶۴ طبق تصمیم مجلس خبرگان رهبری، به عنوان جانشین امام خمینی و رهبر آینده ایران انتخاب شدی، برای تبریک نزدت نیامدم زیرا می‌‌پنداشتم که دین را به دنیا فروخته ای. بیشتر دوست داشتم ترا مجاهد و مبارز ببینم تا حاکم.
پدر مرا ببخش، در سالهای ۶۶ و ۶۷ که به کشتار زندانیان سیاسی اعتراض کردی و انتقادات خود را به عملکرد غلط حکومت علنا بیان کردی، هر چند سخنانت را شنیدم، اما واکنشی در خور نشان ندادم.
پدر مرا ببخش، سالها در حبس خانگی بودی ولی‌ به علت سکوت مرگباری که ایران را فرا گرفته بود و خفقانی که گلوی ما را می‌‌فشرد، مظلومیت ات را فریاد نزدم و ستمگران را رسوا نکردم.
پدر حلالم کن، که هر گاه از پاسخ در می‌‌ماندم، از خرمن دانش تو توشه بر می‌‌گرفتم، حتی در آخرین روز عمر پر عزتت نیز از تو استفتأ کردم.
ترا پدر می‌‌خوانم، زیرا حمایت از زندانیان سیاسی را از تو فرا گرفتم که بخاطر آنان از کلیه مناصب دولتی و حتی رهبری حکومت جمهوری اسلامی ایران چشم پوشیدی - ترا پدر می‌‌خوانم زیرا از تو آموختم چگونه از مظلوم دفاع کنم بدون آن‌ که علیه ظالم دست به خشونت زنم - از تو یاد گرفتم که سکوت مظلوم یاری رساندن به ظالم است و نباید که ساکت بنشینیم - پدر فراوان از تو آموختم، هر چند که رسم شاگردی و فرزندی را به جا نیاوردم.
تو پدر “حقوق بشر” در ایران هستی‌ و میلیون‌ها چون من فرزند و مرید داری. نیازی هم به قدر دانی‌ و سپاس ما نداری. اما همه ما در حق تو کوتاهی کردیم و مقصریم.
پدر ما را ببخش که تو بزرگواری. پدر کوتاهی فرزندانت را تاریخ جبران خواهد کرد. تاریخ در مورد ستمی که بر تو رفت و آزاده گی تو کتاب‌ها خواهد نوشت. تو در یادها زنده هستی‌ تا عدالت و انسانیت زنده است.
یکی‌ از میلیون‌ها مرید و شاگردت
شیرین عبادی

Padre perdonami, per non aver compreso il tuo valore.
Padre perdonami, per non averti aiutato negli anni difficili in cui tu ti battevi contro il regime dispotico dello shah perché, ingenuamente, credevo che un regime, che disponeva dell’esercito meglio equipaggiato del Medio Oriente, non potesse soccombere ai proclami di un qualche religioso.
Certamente, tu ricordi quanto fosse esiguo, fino all’ultimo mese, prima della vittoria della rivoluzione, il numero dei religiosi che si opponevano allo shah.
Forse, io paventavo questo timore e volevo, egualmente, darmi una giustificazione.
Padre, perdonami, quando, dopo aver sopportato anni di carcere e di tortura, tu sei stato liberato, io non sono venuta a baciare la tua mano per felicitarmi, perché ignoravo.
Io non sapevo che, durante la tua prigionia, tu eri stato il solo conforto per i prigionieri.
Io non sapevo quale ruolo determinante tu avessi avuto nella ricomposizione dei gruppi combattenti musulmani e dei rivoluzionari di sinistra.
Padre perdonami, quando tu sei tornato a Tehran, insieme all’ayatollah Khomeini, ed eri il più importante consigliere politico della guida della rivoluzione, io sottovalutavo la tua intelligenza e il tuo acume e non comprendevo il significato delle tue parole.
Padre perdonami, quando nel mese di azar del 1364 [1985, N.d.T.], per decisione dell’assemblea degli esperti, tu fosti designato quale successore dell’imam Khomeini e futura guida dell’Iran, io non sono venuta da te per felicitarmi perché pensavo che tu avessi venduto la religione al mondo.
Preferivo vederti campione e paladino della fede piuttosto che capo di Stato.
Padre perdonami, negli anni 1366 e 1367, in cui tu condannavi il massacro dei prigionieri politici e criticavi, apertamente, il malevolo operato del governo, nonostante avessi udito le tue parole, io non ho reagito come era dovuto.
Padre perdonami, tu sei stato, per anni, agli arresti domiciliari, ma, a causa del silenzio di morte, che percorreva l’Iran, e la stretta che serrava le nostre gole, io non ho levato la mia voce contro la tua condizione di oppresso e non ho coperto di vergogna gli oppressori.
Padre assolvimi, perché, ogni volta, che ho avuto bisogno di risposte, dalla summa del tuo sapere io ho tratto insegnamento, fino all’ultimo giorno della tua vita gloriosa, io cercavo in te risposte.
Io ti chiamo Padre, perché da te io ho appreso a proteggere i prigionieri politici, per i quali tu rinunciasti a tutte le cariche governative e, perfino, alla guida del governo della Repubblica Islamica dell’Iran.
Io ti chiamo Padre, perché da te io ho appreso come difendere gli oppressi, senza mai ricorrere, tuttavia, alla violenza contro l’oppressore.
Da te io ho appreso che dal silenzio dell’oppresso l’oppressore trae vantaggio e che non dobbiamo restare in silenzio.
Padre, da te io ho appreso molto, anche se io non ho assolto il dovere di una allieva né di una figlia.
Tu sei il Padre dei Diritti Umani e hai milioni di figli e di discepoli come me.
Tu non hai bisogno del nostro incensamento né del nostro ringraziamento. Ma tutti noi abbiamo fallito e siamo colpevoli nei tuoi confronti.
Padre perdonaci, perché tu sei grande.
Padre, la Storia compenserà il fallimento dei tuoi figli.
La Storia scriverà libri sull’oppressione che tu hai subito e sulla tua libertà.
Tu vivrai nella memoria, finché giustizia e umanità vivranno.
Una dei tuoi milioni di fedeli e discepoli.

Shirin Ebadi

Shirin Ebadi, Lettera al grande ayatollah Hossein Ali Montazeri, 20 dicembre 2009.
traduzione dal persiano di Assunta Daniela Zini
Copyright © 2012 ADZ


Hossein Ali Montazeri [1922-2009]


“Il web restituisce all’Iran l’immagine che merita nel mondo. Ve ne è bisogno, perché, mentre i giovani di Tehran si adoperano contro la censura del regime, a Parigi o a Londra, mi accade ancora di sentirmi chiedere se sono l’unica avvocata del mio Paese.”
Shirin Ebadi
La relazione tra internet e dissidenza non data dai blogs. Già, alla fine degli anni 1990, è, in gran parte, grazie a una astuta campagna su internet che i ribelli zapatisti del Sud del Messico poterono attirare l’attenzione della comunità internazionale sulla loro situazione disperata.
Dopo le elezioni presidenziali del 2009, la stampa internazionale si era interessata ai bloggers iraniani, che utilizzavano questo mezzo per far sentire la voce della contestazione. Numerosi erano gli internauti che facevano circolare l’informazione, nonostante la censura, in particolare attraverso Donbaleh e Balatarin, piattaforme in persiano di condivisione di links verso siti o blogs.
Partigiani di Mir-Hossein Mousavi Khameneh come sostenitori di Mahmud Ahmadinejad, tutti avevano aperto blogs sul web.      








Con più di 36 milioni di internauti per 75 milioni di abitanti, l’Iran è il quarto Paese al mondo per numero di bloggers. Internet è, tuttavia, un’arma a doppio taglio: se offre agli oppositori iraniani la possibilità di farsi sentire e mobilitarsi, dà, egualmente, al governo il mezzo per sorvegliarli, braccarli e arrestarli. Durante l’ondata di repressione che ha seguito le elezioni, i computers personali degli attivisti erano stati confiscati. I tribunali rivoluzionari si erano, poi, serviti delle “prove”, così raccolte, per condannare a lunghe pene detentive gli “istigatori di una guerra contro Dio”. 
Per il generale Mohammad Ali Jafari, capo delle guardie della rivoluzione islamica [sepah-e pasdaran-e enqelab-e eslami, meglio note con l’espressione guardiani della rivoluzione o, dal persiano, pasdaran], l’Iran conosce “uno stato di guerra virtuale” più pericoloso di un confronto militare. Quanto alla guida suprema, l’ayatollah Seyyed Ali Hosseini Khamenei, chiama i “giovani soldati” a combattere coloro che “diffondono voci e menzogne e seminano il dubbio e la divisione in seno alla Nazione”. Un numero crescente di agenzie di stampa, perfettamente equipaggiate e generosamente finanziate, ripetono, fino alla noia, la visione di una Nazione potente, vittima di complotti, fomentati da implacabili nemici dell’Iran. Il regime rigetta la colpa di tutti i problemi domestici sull’estero, in particolare sugli Stati Uniti e il Regno Unito e sui nemici interni al servizio di interessi stranieri.


La lotta contro questa cybercospirazione si gioca, anche, sul terreno della vita reale.
Il regime iraniano accusa gli occidentali di utilizzare il web per condurre una “guerra non dichiarata”, che mira a destabilizzarlo e prepara un’internet completamente controllata e nazionalizzata, decisamente ristretta, che tagli fuori del mondo il popolo iraniano e si sostituisca ai servers e ai motori di ricerca stranieri.
Il 10 giugno scorso, il capo della polizia per le tecnologie dell’informazione, Kamal Hadianfar, annunciava che l’Iran avrebbe bloccato l’accesso attraverso il protocollo VPN [Virtual Private Network]. Secondo lo stesso Hadianfar, “tra il 20 e il 30% degli internauti iraniani usa una connessione VPN”, che permette l’accesso a social networks, quali Facebook, Youtube o Twitter, e a migliaia di siti stranieri bloccati dalle autorità, di cui numerosi siti di opposizione iraniani o di media occidentali. “Una commissione è stata costituita [in seno alla polizia per le tecnologie dell’informazione] per bloccare tutte le VPN illegali”, soggiungeva, precisando che “alcuni utilizzatori come le banche, i ministeri, gli organismi statali o le compagnie aeree” avrebbero potuto continuare a usare la connessione VPN per le loro attività.
Le autorità impediscono, regolarmente, l’accesso a internet, riducendo o tagliando la banda passante disponibile, particolarmente, in periodi di tensioni politiche. Il regime può contare sulle tecnologie occidentali. La società Nokia-Siemens Networks e l’impresa irlandese Adaptive Mobile Security Limited, figurano tra i gruppi che hanno fornito, alla fine del 2008, alla compagnia telefonica monopolistica iraniana la tecnologia che permette l’uso di Deep Packet Inspection per leggere o addirittura modificare il contenuto di ogni cosa, dalle “mails e le telefonate su internet alle immagini e ai messaggi sui siti di social networks, quali Facebook o Twitter”. In effetti, la percezione che la finlandese Nokia avesse fornito tecnologia, che permettesse “alle autorità non solo di bloccare la comunicazione, ma anche di monitorarla per ottenere informazioni sui cittadini e alterare i vari messaggi, perseguendo l’obiettivo della disinformazione” era abbastanza diffusa tra gli iraniani, nel periodo immediatamente successivo alle elezioni, tanto da tradursi in un vero e proprio boicottaggio dei prodotti con il marchio di Espoo. Nella risoluzione del 10 febbraio 2010, il parlamento europeo aveva criticato “fermamente le imprese internazionali, segnatamente la Nokia-Siemens, che forniscono alle autorità iraniane la tecnologia necessaria per le operazioni di censura e di sorveglianza e assecondano, così, le persecuzioni e gli arresti di dissidenti iraniani” [http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2010-0016+0+DOC+XML+V0//IT].

 


Più recentemente, una società israeliana, la Allot Communications Limited, con sede a Hod-Hasharon, avrebbe inviato, per cinque anni, un sistema di monitoraggio del traffico su internet, chiamato NetEnforcer, alla compagnia danese RanTek A/S che, una volta, rimosse le etichette originali, lo avrebbe spedito in Iran [http://www.bloomberg.com/news/2011-12-24/iran-sales-sink-allot-as-lawmaker-seeks-probe-israel-overnight.html]. Le società israeliane non possono realizzare alcun tipo di transazione finanziaria con il regime iraniano, ma la Allot Communications Limited, sarebbe riuscita ad aggirare i divieti tramite il distributore danese. Il sistema sarebbe stato usato per bloccare il traffico in rete, intercettare mails e sms e, perfino, cambiarne i contenuti, per identificare gli utenti di internet e consentire alle autorità di arrestarli. Il direttore esecutivo della Allot Communications Limited, Rami Hadar, sostiene, in un comunicato, che il sistema non sarebbe designato per scopi di sorveglianza intrusiva”, ma solo per “l’ottimizzazione del traffico su internet”. Inoltre, prosegue, sempre, nel comunicato, il sistema sarebbe “stato venduto al distributore danese come viene venduto a migliaia di distributori e a decine di migliaia di clienti in tutto il mondo” e non vi sarebbe “alcun modo di sapere dove giunga”. Le autorità di Copenaghen invece, secondo l’agenzia di stampa Bloomberg, sarebbero in possesso dei registri delle transazioni con l’Iran.
Il caso Allot Communications Limited ricorda quello della società californiana Blue Coat Systems Incorporated, che ha venduto alla Siria dispositivi, che consentono di filtrare il traffico di internet e, quindi, di censurare i contenuti in rete. Il governo americano vieta di fornire tali soluzioni alla Siria, dove, nel frattempo, oltre 17mila persone [11.815 i civili] sono state uccise, dall’inizio della rivolta contro il regime, come riferisce l’osservatorio siriano per i diritti umani. Secondo le dichiarazioni della compagnia, la destinazione finale dei quattordici dispositivi di Blue Coat Systems ProxySG 9000, imbarcati dal porto di Rotterdam, in Olanda, verso Dubai, alla fine del 2010, sarebbe stata il ministero delle comunicazioni iracheno. Una volta approvato l’ordine e imbarcato il carico per Dubai, la Blue Coat Systems Incorporated avrebbe smesso di seguire il destino dei dispositivi. Una svista non trascurabile, giacché violare, deliberatamente, l’embargo, rende passibili di una multa fino a un milione di dollari. In seguito, le apparecchiature erano state rivendute al regime siriano, che non può, ufficialmente, procurarsele, in ragione di un embargo, imposto, dal 2004, dal governo degli Stati Uniti, noto come Syrian Accountability Act. Erano stati rinvenuti i segnali di tredici dispositivi in uso del regime siriano, mentre si erano perse le tracce del quattordicesimo. Nell’agosto del 2011, il sito francese Reflets.info  [http://reflets.info/bluecoats-role-in-syrian-censorship-and-nationwide-monitoring-system/, http://reflets.info/bluecoats-presence-in-syria-finally-uncovered/] aveva denunciato l’accaduto e pubblicato una serie di documenti, ottenuti in collaborazione con il gruppo Telecomix, composto per lo più da hackers, che amano definirsi hacktivisti, che dimostravano l’utilizzo da parte del regime siriano di prodotti della Blue Coat Systems Incorporated. Inizialmente, la società aveva negato di aver venduto la propria tecnologia alla Siria, ma, di fronte alle prove, aveva dovuto ammettere che tredici Blue Coat Systems ProxySG 9000 risultavano in uso in Siria. La compagnia non è nuova ad affari con governi autoritari: secondo Ron Deibert, direttore del Citizen Lab, centro di ricerca sul web dell’Università di Toronto, la Blue Coat Systems Incorporated avrebbe venduto dispositivi simili anche al governo birmano.
In entrambi i casi, Nokia-Siemens Networks e Allot Communications Limited, i divieti di vendita hanno fallito, rimettendo in questione la efficacia delle regolamentazioni vigenti.
Lo scorso febbraio, Le Canard Enchaîné rivelava che il gruppo francese Bull, di cui fa parte la società francese Amesys, possiede una succursale, in Iran, da alcuni anni. Amesys è ben conosciuta per vendere a governi non molto democratici soluzioni per censurare il web.
Le società esportatrici di software hanno, a lungo, giocato la carta di non conoscere i propri clienti. Ciò non è più accettabile. Le società debbono conoscere i propri clienti e debbono essere tenute responsabili dei propri atti. È l’allarme lanciato dalla Electronic Frontier Foundation, associazione americana per i diritti digitali, che chiede alle imprese di assumersi la piena responsabilità degli usi che i governi fanno dei loro prodotti.
Il 27 settembre scorso, il parlamento europeo, ha approvato una risoluzione che impone alle società europee autorizzazioni più severe per esportare in India, Russia, Cina e Turchia “tecnologie di telecomunicazioni che possono essere utilizzate in relazione a una violazione dei diritti umani, dei principi democratici o della libertà di espressione”.
Numerosi Paesi del Nord dell’Africa e del Medio Oriente, quali la Tunisia e l’Egitto, che hanno, recentemente, conosciuto delle rivolte, sfruttano la tecnologia occidentale per individuare e bloccare l’opposizione su internet. Le società tecnologiche occidentali, quali Amesys e Narus, rispettivamente filiali della francese Bull e dell’americana Boeing, avrebbero aiutato, nel 2011, il regime caduto di Muammar Gheddafi [1942-2011], fornendogli tecnologia che consentiva di spiare e censurare la popolazione libica.
Cosa dedurre da tutto ciò?
In primis, gli spazi in cui si discute dell’avvenire dell’Iran, sono armi a doppio taglio.
In secundis, l’Iran è il solo Paese del Medio Oriente dove, di fronte alla corruzione, alla tirannia e al cattivo governo, gli abitanti non hanno il lusso di poter accusare il loro regime di essere sostenuto dagli Stati Uniti – contrariamente all’Arabia Saudita, all’Egitto, ecc. –.
Spenti i riflettori sulla violenta repressione delle manifestazioni contro la rielezione di Mahmud Ahmadinejad, l’Iran non è più evocato sulla scena internazionale che per il suo programma nucleare. È vero che le rivoluzioni arabe, come la tragedia che si svolge, attualmente, in Siria o dell’imbroglio militaro-islamo-politico, che tiene l’Egitto e il mondo con il fiato sospeso, hanno eclissato il resto dell’attualità nelle regioni del Nord dell’Africa e del Medio Oriente. È, tuttavia, difficile credere che le potenze occidentali e i loro alleati nella regione, che hanno, apertamente, appoggiato l’opposizione durante le manifestazioni, abbiano rinunciato alle loro velleità di rovesciare il regime dei mollah. La caduta del regime iraniano con un sollevamento interno, che è fallito tre anni fa, resta l’approccio meno costoso e più politicamente corretto per le grandi capitali e i grandi capitali occidentali. Un tale scenario permetterebbe di regolare il problema del programma nucleare militare iraniano, di evitare una grande minaccia all’alleato israeliano e di far piacere all’amico saudita, che non vedrebbe di buon occhio una ascesa di potere del secolare nemico persiano. 

Maryam Rajavi [1953]

Ora, un tale scenario è dei più probabili.
Si tratterebbe, in qualche modo, di uno straripamento geografico delle primavere arabe, di cui uno dei più sanguinosi si svolge al momento in Siria, alle frontiere dell’Iran. Esistono indizi che corroborano una tale tesi, anche se sono passati inosservati. Il primo giugno scorso, la United States court of appeals for the district of Columbia circuit [http://www.ncr-iran.org/fr/images/stories/200/iranliberation3/4/il398.pdf] ha ordinato al segretario di Stato Hillary Rodham Clinton [1947] di decidere, entro quattro mesi, sulla rimozione del sazman-e mojahedin-e khalq-e iran, la più importante componente dell’opposizione iraniana dal 1997, conosciuta con l’acronimo MEK, dalla lista americana delle organizzazioni terroriste.
Inutile dire che, prima della fine di settembre, questa organizzazione laica, che ha svolto un ruolo essenziale nella caduta dello shah, prima che i religiosi si accaparrassero la rivoluzione, potrà essere considerata da Washington non più un nemico da combattere, ma un alleato da sostenere.
Se esiste una grande verità politica, oggi, in Iran, è che, con la loro lotta pacifica, i figli della rivoluzione del 1979 chiedono ai loro fratelli più anziani di assumersi la responsabilità dei loro errori come dei loro successi.  

“Duo sunt bene instituti animi solatia: litterarum otium, et fidelis amicitia.”
Francesco Petrarca, Var. 44
Io non conto molto in questa storia del mondo.
Curiosa del futuro, fedele al passato, resto la testimone, una specie di vedetta che guarda ciò che accade.
Molto spesso lo spettacolo non ha nulla di divertente.
Ma mi diletta e mi piace.
Tra le cose e gli uomini, con tenerezza e con ironia, sono, cerco di essere, sotto le raffiche del vento della Storia, la sentinella del piacere di Dio.
E, allora, a Dio...


Daniela Zini
Copyright © 11 luglio 2012 ADZ



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