LETTERE DALL’IRAN
Oggi vi propongo la traduzione della:
LETTERA DI SHIRIN ALAM HULI
prigioniera politica curda, giustiziata, il 9 maggio 2010, insieme a Farzad Kamangar, Ali Heydarian, Farhad Vakili e Mehdi Eslamian
Sto entrando nel mio terzo anno di carcere, tre anni nelle peggiori condizioni, dietro le sbarre della prigione di Evin.
Ho trascorso i primi due anni senza un avvocato in carcere preventivo.
Tutti gli appelli sulla mia vicenda sono restati senza risposta, finché sono stata, ingiustamente, condannata a morte.
Perché sono stata imprigionata, perché sto per essere giustiziata?
Per quale crimine?
Perché sono curda?
Se è per questo, io sono nata curda, io parlo curdo, il curdo è la lingua che uso per esprimermi in famiglia, con gli amici e la comunità, è la lingua con la quale sono cresciuta. Ma non ho il diritto di parlarla o di leggerla, non ho il diritto di studiare nella mia lingua e non ho il diritto di scriverla.
Mi chiedono di rinnegare la mia identità curda, ma se io lo facessi, rinnegherei me stessa.
Signor giudice e signor inquirente, quando voi mi interrogavate, io non parlavo la vostra lingua e non la comprendevo.
Ho appreso il persiano, nei due anni che ho passato nella sezione femminile dalle mie compagne di cella. Ma voi mi avete interrogato, giudicato e condannato nella vostra lingua, anche se non comprendevo e non potevo difendermi.
Le torture, cui mi avete sottoposto, sono divenute il mio incubo.
Soffro, costantemente, a causa delle torture subite.
Le percosse al capo, durante gli interrogatori, mi hanno causato seri problemi.
Soffro di forti emicranie, che mi causano perdite di coscienza e sanguinamenti dal naso per il dolore.
Passano ore prima che io riprenda i sensi.
Un altro “regalo” che le vostre torture mi hanno lasciato, è un problema agli occhi che peggiora, di giorno in giorno.
La mia richiesta di occhiali è rimasta inevasa.
Quando sono entrata in prigione, i miei capelli erano neri.
Dopo tre anni di prigione, sono divenuti bianchi.
So cosa mi avete fatto.
Lo avete fatto a tutti gli altri curdi, quali Zeinab Jalalian e Ronak Safarzadeh…
Le madri curde hanno gli occhi gonfi di lacrime, nell’attesa di vedere i propri figli. Sono, costantemente, angosciate e sobbalzano a ogni telefonata che potrebbe annunciare loro l’esecuzione dei propri figli.
Oggi, 2 maggio 2010, mi hanno, di nuovo, portato al blocco 209 della prigione di Evin per l’interrogatorio. Mi hanno chiesto di cooperare in modo da essere perdonata e non giustiziata. Io non comprendo cosa intendano dire con cooperare, poiché non ho altro da dire al di fuori di quello che ho, già, detto.
Vogliono che io ripeta tutto quello che mi suggeriscono, ma io mi rifiuto di farlo.
Gli inquirenti mi hanno detto:
“Noi volevano rilasciarti, lo scorso anno, ma la tua famiglia non ha voluto cooperare e siamo giunti a questo.”
Mi hanno detto che sono un ostaggio e che, fino a quando non raggiungeranno il loro scopo, mi terranno prigioniera o mi giustizieranno, ma mai mi rilasceranno.
Shirin Alam Huli, 3 maggio 2010
Serkeftin (Vittoria, in curdo)
traduzione di Daniela Zini
Copyright © 15 ottobre 2012 ADZ
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