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domenica 5 gennaio 2020

Diario dal Fronte Occidentale USA E GETTA USA-IRAN: DEJA VU! di Daniela Zini


Diario dal Fronte Occidentale

USA E GETTA

USA-IRAN: DEJA VU!
“Se le leggi Norimberga fossero attuate ancora oggi, ogni presidente americano del Dopoguerra sarebbe stato impiccato.”
Noam Chomsky




Nel 1974, lo shah Mohammad Reza Pahlavi aveva contrattato con gli Stati Uniti e la Francia un ambizioso programma nucleare e l’Iran era entrato con il 10% di capitale nel Consorzio Eurodif di arricchimento dell’uranio, ma le pretese egemoniche avevano reso lo shah scomodo a Washington, che, insieme a Parigi, ne preparò il rovesciamento.
Fu, allora, che la CIA scelse di giocare la carta dell’Islamismo radicale dei Mollah contro il Comunismo e le correnti laiche alleate dell’Unione Sovietica.
Subito dopo la firma degli Accordi di Camp David [17 settembre 1978], Ruhollah Mostafavi Mosavi Khomeyni, allora un oscuro personaggio, fu portato a Parigi per venire formato e lanciato politicamente, ma l’illusione di Jimmy Carter di poterlo controllare e manovrare durò poco: si aprì, così, uno dei decenni più convulsi e intricati del dopoguerra.
Dalla vicenda degli ostaggi americani del 1979, come pressione di Tehran per la ripresa delle forniture militari e del programma nucleare, alla disastrosa operazione per liberarli, che segnò la fine di Carter, all’Irangate, alla Guerra Iran-Iraq voluta da Washington, alla terribile serie di attentati della Jihad, che, dal 1984 al 1990, ebbe come retroscena il rispetto da parte della Francia dei precedenti accordi nucleari, la questione nucleare rivestì un ruolo centrale.
Come aveva giocato Ronald Reagan contro Carter, Khomeyni giocò, poi, Jacques Chirac contro François Mitterand, finché, nel 1991, la Francia sottoscrisse l’accordo che confermava l’azionariato dell’Iran in Eurodif e il diritto di ritirare la quota corrispondente di uranio arricchito.
Quello che vale la pena di rilevare è come la Casa Bianca abbia voluto la prosecuzione del programma nucleare di un Paese che, al tempo stesso, denuncia come appartenente all’Asse del Male. La versione ufficiale, secondo la quale, dal 1979, gli Stati Uniti hanno interrotto ogni commercio nucleare con l’Iran, non è che una grande impostura.
Washington non poteva, certo, proseguirlo alla luce del sole, e, oramai, anche la Francia era nel mirino, così, lo fece attraverso la Cina – che, come la Francia, aveva aderito, nel 1992, al NTP – e Mosca. Riprendendo la costruzione della Centrale di Busher, la Russia, sostituitasi alla Germania, prima di nascondersi dietro l’Argentina e, poi, di tentare di passare attraverso la Repubblica Ceca, aveva operato per conto degli Stati Uniti, che si fingevano preoccupati per la collaborazione nucleare di Mosca con Tehran.
L’ultimo decennio del secolo scorso ha visto l’ultima, almeno per ora, raffica di test nucleari: ma anche per questi le cose stanno ben diversamente dalla versione ufficiale.
Nel 1990, Chirac eseguì dei tests anche per conto degli Stati Uniti, con i quali aveva appena stipulato un accordo riservato di scambio di dati per sperimentare una carica nucleare a potenza variabile.
Alcuni tests dell’India, nel 1998, vennero eseguiti per conto di Israele e alcuni tests del Pakistan, che, in realtà, possedeva la bomba, già, dalla fine degli Anni ‘70, erano fatti per conto dell’Iran.
Appare veramente complesso sbrogliare l’intricatissima matassa dei reali interessi economici, strategici e geopolitici, dietro la cortina fumogena abilmente sollevata e mantenuta, con innumerevoli complicità, sull’opinione pubblica.  
Fronte Occidentale, 4 gennaio 2020


FIRENZE - Duello tra neocon USA e Massimo D’Alema, ieri in Palazzo Vecchio. I due americani sono un consigliere di Bush, Richard Perle, e lo studioso di politica internazionale Michael Ledeen, ambedue convinti ispiratori della guerra in Iraq. Con quest’ ultimo che arriva a sostenere che “l’ONU è la più grossa organizzazione criminale al mondo, rafforzare l’Onu è come dire rafforzare la mafia”. Il dibattito è innanzitutto sull’Iraq. “Spero che Italia e Europa si muovano con gli USA. Ma per ora non ho visto molti aiuti da parte dell’ Europa”, dice Perle. A D’Alema che concorda sull’obiettivo di esportare la democrazia nel mondo ma sostiene che non lo si fa con le armi e che “l’ uso della forza può essere legittimo solo in alcune circostanze, come in caso di genocidi o massacri, ma non lo è stato in Iraq dove ha prodotto un solo beneficio, la cacciata di Saddam, e molti costi in termini di perdita di vite umane, di estensione del terrorismo, di perdita di autorità morale da parte dei governi occidentali che hanno mentito all’ opinione pubblica”, Ledeen ribatte: “Prima di dire che la politica estera USA è aggressiva, ricordatevi che il fascismo è nato in Europa e che, se i giapponesi non ci avessero attaccato, oggi in questo salone si parlerebbe tedesco”. Niente critiche alla politica di Bush. Quelle sulle armi di distruzione di massa e sui rapporti dell’Iraq con Al Queda “non erano bugie come dice D’Alema, ma solo intelligence e giudizi non accurati”, spiega Perle. Gli Usa si muovono secondo il loro arbitrio di grande potenza? Colpa degli altri che non agiscono. Inutile che D’Alema lanci una possibilità: “Europa e Usa hanno un interesse comune a rafforzare le istituzioni internazionali: la governance globale non consiste solo nella lotta al terrorismo che è tanto più efficace quanto più si affrontano le altre sfide globali, la povertà, le differenze tra Nord e Sud del mondo, lo sfruttamento delle risorse del pianeta”. Ed è qui che Leeden ribatte: “L’ONU è la più grande organizzazione criminale di oggi, rafforzarla equivarrebbe a rafforzare la mafia”. Il presidente dei DS perde la pazienza: “Non l’accetto. L’ONU, che ha anche fatto errori e conosciuto scandali. Ma il suo ruolo è stato prezioso per la costruzione della pace e della democrazia. Far funzionare le Nazioni Unite dovrebbe essere il primo tema nell’agenda delle relazioni Europa-USA”.

Michael Arthur Ledeen è stato implicato nell’Irangate e nel Nigergate ed è stato, inoltre, accusato di avere collaborato con la P2 di Licio Gelli.
Il nome di Ledeen è stato associato, da più parti, a Matteo Renzi, in quanto consulente di politica estera del premier italiano, e a Marco Carrai
Vicino agli ambienti dell’Amministrazione Reagan, senza tuttavia ricoprire incarichi ufficiali, fu presente alla Casa Bianca durante il colloquio telefonico tra il presidente statunitense e il presidente del consiglio Bettino Craxi, durante la Crisi di Sigonella, nell’ottobre del 1985.
Francesco Pazienza, nel corso del processo del 1986-1988, in cui fu imputato e, poi, condannato per i depistaggi nella Strage di Bologna, ha raccontato: 
“Il SUPERSISMI non era una struttura ma un’organizzazione. […] tra loro c’era Michael Ledeen, che era già lì prima che arrivassi io, e continuò a collaborare con i servizi, tanto che io arrivai a sapere con assoluta certezza che nel 1985 lui ottenne tutto il materiale dell’inchiesta sull’attentato al Papa.”
Nel 1984, l’allora capo del SISMI l’ammiraglio Fulvio Martini raccontò ai membri del COPACO di avere detto all’ambasciatore americano a Roma, Maxwell Raab, che Ledeen “non deve più tornare in Italia”, dandogli di fatto dell’“indesiderabile”.
Ledeen annunciò querele.
Martini confermerà tutto, quindici anni dopo, di fronte alla Commissione Stragi:
“Avevo chiesto all’ambasciata americana di non far entrare Mike Ledeen in Italia: era un tizio che lavorava ai margini della CIA.”
E perché Ledeen non era gradito?
Ancora Martini:
“Intanto quando Ledeen veniva in Italia andava direttamente dal presidente della Repubblica [Francesco Cossiga n.d.r.], che aveva conosciuto quando era ministro dell’interno. E la cosa non mi piaceva. Secondo, perché Ledeen aveva avuto da uno dei miei predecessori 100mila dollari per fare conferenze sul terrorismo, che erano assolutamente rubati. E poi lavorava a margine della CIA, e la cosa non mi piaceva.”
 
Richard Perle

Il 12 novembre 2005, l’attacco mosso alle Nazioni Unite dai neoconservatori americani Michael Leeden e Richard Perle – per i quali l’Italia e l’Europa si dovevano allineare agli Stati Uniti d’America senza discutere – diviene il titolo di un articolo apparso su la Repubblica, lo stesso giorno: ONU, organizzazione criminale.
Questa definizione sprezzante è il preludio di una nuova guerra preventiva che George W. Bush, su imput di Dick Cheney, intende scatenare contro un altro dei Paesi inclusi nell’Asse del Male: l’Iran.
La fatwa viene scagliata, nel corso del Convegno su Globalizzazione, lotta al terrorismo, una diversa concezione per il ripristino della democrazia a livello internazionale tra Europa e Stati Uniti [http://www.regioni.it/dalleregioni/2005/11/11/toscana-europa-usa-martinisforzo-comune-per-capire-il-mondo-198600/], organizzato dall’Associazione Eunomia e tenuto, a Firenze, nel Salone de’ Cinquecento a Palazzo Vecchio nell’ambito del master in alta formazione politico-istituzionale, cui partecipano, il presidente della Regione Toscana, Claudio Martini; Massimo D’Alema, presidente dei DS; Richard Perle, consigliere di George W. Bush per la politica estera e la difesa; Michael Arthur Ledeen, esperto di politica internazionale; Alessandro Pizzorno, studioso di fama internazionale e docente dell’Istituto Universitario Europeo di Fiesole; il sindaco di Firenze, Leonardo Domenici e il presidente della Provincia di Firenze, Matteo Renzi.
Agli interventi di Perle e Leeden – i due uomini più influenti della politica americana, compartecipi della congiura del Nigergate, l’inganno che aveva preparato la guerra contro l’Iraq, e sostenitori della necessità della guerra all’Iran –  viene dato un notevole risalto.
Scarso rilievo riscuote, invece, la critica di D’Alema.
Come ha scritto Chalmers Johnson, occorre fabbricare nuovi nemici, classificando alcuni Paesi come sostenitori di terrorismo o come ironizzava Gore Vidal occorre “creare un club del nemico del mese”.
Ma chi sono Michael Arthur Ledeen e Richard Perle?  
Michael Ledeen è noto, anche in Italia, per i contatti con la P2.
Richard Perle, noto con il significativo soprannome di the Prince of Darkness [https://www.c-span.org/video/?202478-1/prince-darkness-richard-perle] è, insieme a Paul Wolfowitz e ad Ari Fleischer, l’ispiratore e il responsabile della strategia della guerra preventiva.
Il 17 marzo 2003, Seymour Hersh, in un articolo pubblicato su The New Yorker, Lunch With the Chairman [https://www.newyorker.com/magazine/2003/03/17/lunch-with-the-chairman], mette luce sul fatto che Perle sia coinvolto in questioni di interesse che trarrebbero profitto da una eventuale guerra in Iraq. L’inchiesta di Hersh, descrive il ruolo di Perle, come uno dei più importanti soci di un azienda specializzata in capitali di rischio, la Trireme Partners LP. Compito principale di questa ditta è investire in aziende riguardanti tecnologie, beni e servizi importanti per la sicurezza nazionale e la difesa. Poche settimane dopo la pubblicazione dell’articolo firmato da Hersh, Perle rassegna le sue dimissioni dal Defense Policy Board.
Tre giorni dopo, il 20 marzo, Eric Alterman, su The Nation [https://www.thenation.com/article/perle-interrupted/], avverte che bisogna fare attenzione ad attaccare Perle o si rischia l’accusa di antisemitismo.
Il 25 marzo, sul New York Times, Stephen Labaton fornisce le prove della partecipazione di Perle alla Global Crossing [https://www.nytimes.com/2003/03/25/business/inquiry-is-urged-into-role-played-by-adviser-to-us.html], il gigante delle comunicazioni attraverso fibra ottica che ha dichiarato bancarotta. Secondo il cronista, Perle stava vendendo le sue partecipazioni in tutta fretta, prima del crollo della Global alla Hutchison Whampoa Ltd: una vendita che avrebbe fruttato 725mila dollari, 600mila dei quali dipendenti dal ruolo di Perle al Pentagono.
Il 7 marzo 2006, in una intervista al Corriere della Sera, in risposta allo sforzo dell’ONU, per un’intesa con l’Iran, Perle afferma:

WASHINGTON — La linea morbida con Teheran è perdente, e probabilmente nei prossimi tempi l’America e alcuni alleati dovranno bombardare gli impianti nucleari iraniani, solo un colpo di scena potrà evitarlo. L’interrogativo è: quanto attenderà l’Occidente, e come impiegherà al meglio l’attesa? Per adesso, ha un percorso obbligato, l’ONU, ma è difficile che il Consiglio di sicurezza riesca a piegare Teheran.
Così dice Richard Perle, l’ex-sottosegretario alla Difesa del presidente Ronald Reagan, architetto del disarmo atomico delle superpotenze.
Perle, uno degli ideologi della guerra dell’Iraq, oggi consulente del Pentagono, è scettico sulle prospettive di successo della diplomazia, “a causa dell’intransigenza iraniana”. “L’unica consolazione — rileva — è che non dobbiamo decidere subito se ricorrere a mezzi drastici. Ma non dobbiamo procrastinare troppo”.
Sfiducia nell’ONU? E nella Russia?
“La mediazione russa è impossibile da valutare. Riservo il mio giudizio, ma bisogna che dia risultati tangibili. La rinuncia a trattare il materiale nucleare non basta, Teheran dovrà anche smantellare le sue centrifughe. Inoltre, occorreranno rigide ispezioni sia in Russia, sia in Iran. Come diceva Reagan della riduzione degli arsenali nucleari: fidati, ma controlla”.
Ma la Russia non è un alleato?
“C’è un’involuzione in Russia, il potere è nelle mani di ex-agenti del KGB, la polizia segreta sovietica, che non si sono rassegnati alla sconfitta nella Guerra Fredda. Siamo realisti: quella russa potrebbe essere la carta vincente, ma è gente che non sempre fa una politica a noi favorevole”.
Non crede che Mosca appoggerebbe sanzioni contro l’Iran?
“All’ONU? Ne dubito, anche se non si può mai dire. E in ogni caso, non penso che l’Iran cederebbe alle sanzioni. Il regime iraniano vuole l’atomica, ma l’Occidente non glielo può consentire, perché, come dice il presidente Ahmadinejad, ambisce alla distruzione di Israele e a un mondo senza gli Stati Uniti, è cioè una minaccia per tutti”.
Quale è l’opzione militare americana?
“Tutti sperano ancora di non usarla, tutti auspicano che la situazione cambi. Ma potremmo eliminare gli impianti nucleari iraniani in una sola notte, con una pioggia di missili e con un bombardamento a tappeto dei B2, gli aerei cosiddetti invisibili perché sfuggono ai radar. Teheran non sarebbe in grado di difendersi, e scoprirebbe il blitz solo a cose fatte. Conosciamo bene i bersagli e abbiamo le armi necessarie per ridurli in cenere”.
Ma non spacchereste in due l’Occidente, non allontanereste definitivamente il mondo musulmano?
“Sia in Occidente sia tra i Paesi arabi la maggioranza ha paura dell’ Iran, e starebbe dalla nostra parte, chi di nascosto per ragioni politiche, chi apertamente. Ritengo anzi che qualche Paese dotato di B2 come noi parteciperebbe al blitz, mentre altri ci fornirebbero supporto logistico. Teniamo presente che molti collaborano già all’intelligence sull’Iran, il consenso è molto vasto”.
Pensa che Israele potrebbe attaccare Teheran?
“Sono convinto che se Israele arrivasse alla conclusione che non c’è più alternativa all’azione militare, ci arriveremmo anche noi. Israele non compirà passi falsi. Ripeto, nessuno prepara ancora il ricorso alla forza, e sarebbe una fortuna se, avvicinandosene il momento, l’Iran cedesse”.
Il Pakistan ha l’atomica: cosa accadrebbe se i radicali islamici andassero al potere?
“La situazione in Pakistan è molto pericolosa, ma non si possono fare ipotesi. Il presidente Musharraf è appoggiato dai militari ma non da tutti. Però non è l’unico in grado di mantenere l’ordine. Esistono troppi scenari possibili, preghiamo che emergano quelli positivi”.


Daniela Zini
Copyright © 4 gennaio 2020 ADZ

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