Diario dal Fronte Occidentale
USA E GETTA
USA-IRAN: DEJA VU!
“Se le leggi Norimberga fossero attuate ancora oggi, ogni
presidente americano del Dopoguerra sarebbe stato impiccato.”
Noam Chomsky
Nel 1974, lo shah
Mohammad Reza Pahlavi aveva contrattato con gli Stati Uniti e la Francia un
ambizioso programma nucleare e l’Iran era entrato con il 10% di capitale nel Consorzio
Eurodif di arricchimento dell’uranio, ma le pretese egemoniche avevano reso lo shah
scomodo a Washington, che, insieme a Parigi, ne preparò il rovesciamento.
Fu, allora, che
la CIA scelse di giocare la carta dell’Islamismo radicale dei Mollah contro il
Comunismo e le correnti laiche alleate dell’Unione Sovietica.
Subito dopo la
firma degli Accordi di Camp David [17 settembre 1978], Ruhollah Mostafavi Mosavi
Khomeyni, allora
un oscuro personaggio, fu portato a Parigi per venire formato e lanciato
politicamente, ma l’illusione di Jimmy Carter di poterlo controllare e
manovrare durò poco: si aprì, così, uno dei decenni più convulsi e intricati
del dopoguerra.
Dalla vicenda
degli ostaggi americani del 1979, come pressione di Tehran per la ripresa delle
forniture militari e del programma nucleare, alla disastrosa operazione per
liberarli, che segnò la fine di Carter, all’Irangate, alla Guerra Iran-Iraq
voluta da Washington, alla terribile serie di attentati della Jihad, che, dal
1984 al 1990, ebbe come retroscena il rispetto da parte della Francia dei
precedenti accordi nucleari, la questione nucleare rivestì un ruolo centrale.
Come aveva giocato
Ronald Reagan contro Carter, Khomeyni giocò, poi, Jacques Chirac contro
François Mitterand, finché, nel 1991, la Francia sottoscrisse l’accordo che
confermava l’azionariato dell’Iran in Eurodif e il diritto di ritirare la quota
corrispondente di uranio arricchito.
Quello che vale
la pena di rilevare è come la Casa Bianca abbia voluto la prosecuzione del
programma nucleare di un Paese che, al tempo stesso, denuncia come appartenente
all’Asse del Male. La versione ufficiale, secondo la quale, dal 1979, gli Stati
Uniti hanno interrotto ogni commercio nucleare con l’Iran, non è che una grande
impostura.
Washington non
poteva, certo, proseguirlo alla luce del sole, e, oramai, anche la Francia era
nel mirino, così, lo fece attraverso la Cina – che, come la Francia, aveva
aderito, nel 1992, al NTP – e Mosca. Riprendendo la costruzione della Centrale
di Busher, la Russia, sostituitasi alla Germania, prima di nascondersi dietro l’Argentina
e, poi, di tentare di passare attraverso la Repubblica Ceca, aveva operato per
conto degli Stati Uniti, che si fingevano preoccupati per la collaborazione
nucleare di Mosca con Tehran.
L’ultimo
decennio del secolo scorso ha visto l’ultima, almeno per ora, raffica di test
nucleari: ma anche per questi le cose stanno ben diversamente dalla versione
ufficiale.
Nel 1990,
Chirac eseguì dei tests anche per conto degli Stati Uniti, con i quali aveva
appena stipulato un accordo riservato di scambio di dati per sperimentare una
carica nucleare a potenza variabile.
Alcuni tests
dell’India, nel 1998, vennero eseguiti per conto di Israele e alcuni tests del
Pakistan, che, in realtà, possedeva la bomba, già, dalla fine degli Anni ‘70,
erano fatti per conto dell’Iran.
Appare
veramente complesso sbrogliare l’intricatissima matassa dei reali interessi
economici, strategici e geopolitici, dietro la cortina fumogena abilmente
sollevata e mantenuta, con innumerevoli complicità, sull’opinione
pubblica.
Fronte
Occidentale, 4 gennaio 2020
FIRENZE
- Duello tra neocon USA e Massimo D’Alema, ieri in Palazzo Vecchio. I due
americani sono un consigliere di Bush, Richard Perle, e lo studioso di politica
internazionale Michael Ledeen, ambedue convinti ispiratori della guerra in
Iraq. Con quest’ ultimo che arriva a sostenere che “l’ONU è la più grossa
organizzazione criminale al mondo, rafforzare l’Onu è come dire rafforzare la
mafia”. Il dibattito è innanzitutto sull’Iraq. “Spero che Italia e Europa si
muovano con gli USA. Ma per ora non ho visto molti aiuti da parte dell’ Europa”,
dice Perle. A D’Alema che concorda sull’obiettivo di esportare la democrazia
nel mondo ma sostiene che non lo si fa con le armi e che “l’ uso della forza
può essere legittimo solo in alcune circostanze, come in caso di genocidi o
massacri, ma non lo è stato in Iraq dove ha prodotto un solo beneficio, la
cacciata di Saddam, e molti costi in termini di perdita di vite umane, di
estensione del terrorismo, di perdita di autorità morale da parte dei governi
occidentali che hanno mentito all’ opinione pubblica”, Ledeen ribatte: “Prima
di dire che la politica estera USA è aggressiva, ricordatevi che il fascismo è
nato in Europa e che, se i giapponesi non ci avessero attaccato, oggi in questo
salone si parlerebbe tedesco”. Niente critiche alla politica di Bush. Quelle
sulle armi di distruzione di massa e sui rapporti dell’Iraq con Al Queda “non
erano bugie come dice D’Alema, ma solo intelligence e giudizi non accurati”,
spiega Perle. Gli Usa si muovono secondo il loro arbitrio di grande potenza?
Colpa degli altri che non agiscono. Inutile che D’Alema lanci una possibilità: “Europa
e Usa hanno un interesse comune a rafforzare le istituzioni internazionali: la
governance globale non consiste solo nella lotta al terrorismo che è tanto più
efficace quanto più si affrontano le altre sfide globali, la povertà, le
differenze tra Nord e Sud del mondo, lo sfruttamento delle risorse del pianeta”.
Ed è qui che Leeden ribatte: “L’ONU è la più grande organizzazione criminale di
oggi, rafforzarla equivarrebbe a rafforzare la mafia”. Il presidente dei DS
perde la pazienza: “Non l’accetto. L’ONU, che ha anche fatto errori e
conosciuto scandali. Ma il suo ruolo è stato prezioso per la costruzione della
pace e della democrazia. Far funzionare le Nazioni Unite dovrebbe essere il
primo tema nell’agenda delle relazioni Europa-USA”.
Michael Arthur Ledeen è stato implicato nell’Irangate e nel
Nigergate ed è stato, inoltre, accusato di avere collaborato con la P2 di Licio
Gelli.
Il nome di Ledeen è stato associato,
da più parti, a Matteo Renzi, in quanto consulente di
politica estera del premier italiano,
e a Marco Carrai
Vicino agli ambienti dell’Amministrazione Reagan, senza tuttavia
ricoprire incarichi ufficiali, fu presente alla Casa Bianca durante il
colloquio telefonico tra il presidente statunitense e il presidente del consiglio
Bettino Craxi, durante la Crisi di
Sigonella, nell’ottobre del 1985.
Francesco Pazienza, nel corso del processo del 1986-1988, in cui
fu imputato e, poi, condannato per i depistaggi nella Strage di Bologna, ha
raccontato:
“Il SUPERSISMI non
era una struttura ma un’organizzazione. […] tra loro c’era Michael Ledeen, che
era già lì prima che arrivassi io, e continuò a collaborare con i servizi,
tanto che io arrivai a sapere con assoluta certezza che nel 1985 lui ottenne
tutto il materiale dell’inchiesta sull’attentato al Papa.”
Nel 1984, l’allora capo del SISMI
l’ammiraglio Fulvio Martini raccontò ai membri del COPACO di avere detto all’ambasciatore americano a Roma, Maxwell
Raab, che Ledeen “non deve più tornare in
Italia”, dandogli di fatto dell’“indesiderabile”.
Ledeen annunciò querele.
Martini confermerà tutto, quindici anni dopo, di fronte alla Commissione
Stragi:
“Avevo
chiesto all’ambasciata americana di non far entrare Mike Ledeen in Italia: era
un tizio che lavorava ai margini della CIA.”
E perché Ledeen non era gradito?
Ancora Martini:
“Intanto
quando Ledeen veniva in Italia andava direttamente dal presidente della
Repubblica [Francesco Cossiga n.d.r.], che aveva conosciuto quando era ministro
dell’interno. E la cosa non mi piaceva. Secondo, perché Ledeen aveva avuto da
uno dei miei predecessori 100mila dollari per fare conferenze sul terrorismo,
che erano assolutamente rubati. E poi lavorava a margine della CIA, e la cosa
non mi piaceva.”
Richard Perle
Il 12 novembre 2005, l’attacco mosso alle
Nazioni Unite dai neoconservatori americani Michael Leeden e Richard Perle –
per i quali l’Italia e l’Europa si dovevano allineare agli Stati Uniti d’America
senza discutere – diviene il titolo di un articolo apparso su la Repubblica, lo stesso giorno: ONU, organizzazione criminale.
Questa definizione sprezzante è il
preludio di una nuova guerra preventiva che George W. Bush, su imput di Dick Cheney, intende scatenare
contro un altro dei Paesi inclusi nell’Asse del Male: l’Iran.
La fatwa viene scagliata, nel corso del Convegno su Globalizzazione, lotta al terrorismo, una diversa
concezione per il ripristino della democrazia a livello internazionale tra
Europa e Stati Uniti [http://www.regioni.it/dalleregioni/2005/11/11/toscana-europa-usa-martinisforzo-comune-per-capire-il-mondo-198600/],
organizzato dall’Associazione Eunomia
e tenuto, a Firenze, nel Salone de’
Cinquecento a Palazzo Vecchio nell’ambito del master in alta formazione politico-istituzionale, cui partecipano, il
presidente della Regione Toscana, Claudio Martini; Massimo D’Alema, presidente
dei DS; Richard Perle, consigliere di
George W. Bush per la politica estera e la difesa; Michael Arthur Ledeen,
esperto di politica internazionale; Alessandro Pizzorno, studioso di fama
internazionale e docente dell’Istituto
Universitario Europeo di Fiesole; il sindaco di Firenze, Leonardo Domenici
e il presidente della Provincia di Firenze, Matteo Renzi.
Agli interventi di Perle e Leeden – i
due uomini più influenti della politica americana, compartecipi della congiura
del Nigergate, l’inganno che aveva
preparato la guerra contro l’Iraq, e sostenitori della necessità della guerra
all’Iran – viene dato un notevole
risalto.
Scarso rilievo riscuote, invece, la
critica di D’Alema.
Come ha
scritto Chalmers Johnson, occorre fabbricare nuovi nemici, classificando alcuni
Paesi come sostenitori di terrorismo o come ironizzava Gore Vidal occorre “creare un club del nemico del mese”.
Ma chi sono Michael Arthur Ledeen e Richard
Perle?
Michael Ledeen è noto, anche in
Italia, per i contatti con la P2.
Richard Perle, noto con il
significativo soprannome di the Prince of
Darkness [https://www.c-span.org/video/?202478-1/prince-darkness-richard-perle]
è, insieme a Paul Wolfowitz e ad Ari Fleischer, l’ispiratore e il responsabile
della strategia della guerra preventiva.
Tre giorni dopo, il 20 marzo, Eric
Alterman, su The Nation [https://www.thenation.com/article/perle-interrupted/],
avverte che bisogna fare attenzione ad attaccare Perle o si rischia l’accusa di
antisemitismo.
Il 25 marzo, sul New York Times, Stephen Labaton fornisce le prove della
partecipazione di Perle alla Global
Crossing [https://www.nytimes.com/2003/03/25/business/inquiry-is-urged-into-role-played-by-adviser-to-us.html],
il gigante delle comunicazioni attraverso fibra ottica che ha dichiarato
bancarotta. Secondo il cronista, Perle stava vendendo le sue partecipazioni in
tutta fretta, prima del crollo della Global
alla Hutchison Whampoa Ltd: una
vendita che avrebbe fruttato 725mila dollari, 600mila dei quali dipendenti dal
ruolo di Perle al Pentagono.
Il 7 marzo 2006, in una intervista al
Corriere della Sera, in risposta allo
sforzo dell’ONU, per un’intesa con l’Iran,
Perle afferma:
WASHINGTON
— La linea morbida con Teheran è perdente, e probabilmente nei prossimi tempi l’America
e alcuni alleati dovranno bombardare gli impianti nucleari iraniani, solo un
colpo di scena potrà evitarlo. L’interrogativo è: quanto attenderà l’Occidente,
e come impiegherà al meglio l’attesa? Per adesso, ha un percorso obbligato, l’ONU,
ma è difficile che il Consiglio di sicurezza riesca a piegare Teheran.
Così
dice Richard Perle, l’ex-sottosegretario alla Difesa del presidente Ronald
Reagan, architetto del disarmo atomico delle superpotenze.
Perle, uno degli ideologi della guerra dell’Iraq, oggi consulente del Pentagono, è scettico sulle prospettive di successo della diplomazia, “a causa dell’intransigenza iraniana”. “L’unica consolazione — rileva — è che non dobbiamo decidere subito se ricorrere a mezzi drastici. Ma non dobbiamo procrastinare troppo”.
Sfiducia nell’ONU? E nella Russia?
Perle, uno degli ideologi della guerra dell’Iraq, oggi consulente del Pentagono, è scettico sulle prospettive di successo della diplomazia, “a causa dell’intransigenza iraniana”. “L’unica consolazione — rileva — è che non dobbiamo decidere subito se ricorrere a mezzi drastici. Ma non dobbiamo procrastinare troppo”.
Sfiducia nell’ONU? E nella Russia?
“La
mediazione russa è impossibile da valutare. Riservo il mio giudizio, ma bisogna
che dia risultati tangibili. La rinuncia a trattare il materiale nucleare non
basta, Teheran dovrà anche smantellare le sue centrifughe. Inoltre,
occorreranno rigide ispezioni sia in Russia, sia in Iran. Come diceva Reagan
della riduzione degli arsenali nucleari: fidati, ma controlla”.
Ma la
Russia non è un alleato?
“C’è
un’involuzione in Russia, il potere è nelle mani di ex-agenti del KGB, la
polizia segreta sovietica, che non si sono rassegnati alla sconfitta nella
Guerra Fredda. Siamo realisti: quella russa potrebbe essere la carta vincente,
ma è gente che non sempre fa una politica a noi favorevole”.
Non
crede che Mosca appoggerebbe sanzioni contro l’Iran?
“All’ONU?
Ne dubito, anche se non si può mai dire. E in ogni caso, non penso che l’Iran
cederebbe alle sanzioni. Il regime iraniano vuole l’atomica, ma l’Occidente non
glielo può consentire, perché, come dice il presidente Ahmadinejad, ambisce
alla distruzione di Israele e a un mondo senza gli Stati Uniti, è cioè una
minaccia per tutti”.
Quale
è l’opzione militare americana?
“Tutti
sperano ancora di non usarla, tutti auspicano che la situazione cambi. Ma
potremmo eliminare gli impianti nucleari iraniani in una sola notte, con una
pioggia di missili e con un bombardamento a tappeto dei B2, gli aerei
cosiddetti invisibili perché sfuggono ai radar. Teheran non sarebbe in grado di
difendersi, e scoprirebbe il blitz solo a cose fatte. Conosciamo bene i
bersagli e abbiamo le armi necessarie per ridurli in cenere”.
Ma non spacchereste in due l’Occidente, non allontanereste definitivamente il mondo musulmano?
Ma non spacchereste in due l’Occidente, non allontanereste definitivamente il mondo musulmano?
“Sia
in Occidente sia tra i Paesi arabi la maggioranza ha paura dell’ Iran, e
starebbe dalla nostra parte, chi di nascosto per ragioni politiche, chi
apertamente. Ritengo anzi che qualche Paese dotato di B2 come noi
parteciperebbe al blitz, mentre altri ci fornirebbero supporto logistico.
Teniamo presente che molti collaborano già all’intelligence sull’Iran, il
consenso è molto vasto”.
Pensa che Israele potrebbe attaccare Teheran?
Pensa che Israele potrebbe attaccare Teheran?
“Sono
convinto che se Israele arrivasse alla conclusione che non c’è più alternativa
all’azione militare, ci arriveremmo anche noi. Israele non compirà passi falsi.
Ripeto, nessuno prepara ancora il ricorso alla forza, e sarebbe una fortuna se,
avvicinandosene il momento, l’Iran cedesse”.
Il
Pakistan ha l’atomica: cosa accadrebbe se i radicali islamici andassero al
potere?
“La
situazione in Pakistan è molto pericolosa, ma non si possono fare ipotesi. Il
presidente Musharraf è appoggiato dai militari ma non da tutti. Però non è l’unico
in grado di mantenere l’ordine. Esistono troppi scenari possibili, preghiamo
che emergano quelli positivi”.
Daniela Zini
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