LETTERE DALLA SIRIA
22 marzo
2012
Buongiorno!
Ieri,
sono andata con un’amica a trovare, nella periferia di Damasco, una nostra
conoscente. Quest’ultima ci ha proposto di andare a fare le condoglianze alla
madre di un giovane ucciso, una settimana prima.
Era
impossibile rifiutare.
Abbiamo
portato dei fiori, perché era la festa della mamma.
Si
è seduta di fronte a noi.
Per
avviare la conversazione, le abbiamo chiesto cosa fosse accaduto.
Ha
risposto che non le avevano reso il corpo di suo figlio.
I
notabili della città erano andati alla sede dei mukhabarat [servizi segreti] e
all’ospedale militare, dove era, forse, deceduto; ma si erano sentiti
rispondere che non era là. Avevano chiesto a tutte le sedi dei mukhabarat [servizi
segreti] e a tutti gli ospedali, ma tutti avevano negato di ospitare il giovane
o di essere in possesso del suo cadavere.
Ci
ha raccontato che era, già, stato arrestato, due volte, e che i segni delle
torture erano stati, sempre, visibili sul suo corpo.
“Un
giorno, mi ha detto che era mille volte meglio morire che essere arrestati. La terza
volta che sono venuti a cercarlo, è fuggito di casa. Si è nascosto in una
fattoria con alcuni amici. Ma le forze di sicurezza li hanno circondati. Hanno cercato
di salvarsi in auto, ma sono stati colpiti da un colpo di mortaio. Quattro di
loro, che stavano sul sedile posteriore, sono stati uccisi sul colpo. Non ne rimanevano
che tre, compreso lui. Ma era ferito e sanguinava. Ha detto ai suoi amici, che
lo avevano portato a una certa distanza:
“Lasciatemi
e salvatevi. È preferibile che voi due vi salviate anziché morire tutti e tre.”
Allora,
lo hanno lasciato recitare le due chahadas, e sono fuggiti via. È da loro che
ho appreso la storia.”
Gli
stessi giovani avevano raccontato a sua madre che, sul cammino, avevano visto un
custode che lavorava in una fattoria vicina, al quale avevano affidato il
ferito.
La
madre era andata a chiedere a quell’uomo.
Le
aveva risposto che i carri avevano portato via il giovane.
Non
ha rivisto il corpo di suo figlio.
Non
sa dove si trovi.
Concluse
la sua storia con un lungo sospiro.
Poi,
ci guardò e disse:
“Forse,
è vivo…
Forse,
è riuscito a fuggire da solo…
Forse,
il custode lo ha raccolto e lo ha curato senza dirmelo…
Forse,
nel carro, vi era un soldato buono, che si è mosso a compassione e lo ha portato
da qualche parte perché lo curassero…”
Poi,
abbassò la testa e le lacrime colarono dagli occhi:
“O,
forse, è morto e hanno utilizzato il suo corpo per le esplosioni di piazza Tahrir…
Talvolta,
mi dico che hanno, forse, preso i suoi organi, perché era, ancora, vivo.
O,
allora, forse…”
Le
lacrime la soffocavano e noi piangemmo insieme a lei.
Sì,
tutte queste ipotesi sono verosimili.
E,
forse, non accadono che in Siria.
(traduzione di Daniela Zini)
Nessun commento:
Posta un commento