LETTERE DALL’IRAN
Oggi vi propongo la traduzione della:
ULTIMA LETTERA DI HOSSEIN KHEZRI
prigioniero curdo giustiziato in Iran
Il prigioniero politico curdo Hossein Khezri, arrestato, nel 2008, e condannato a morte per appartenenza al Partito per una Vita Libera in Kurdistan (PJAK), in un’udienza di dieci minuti, veniva giustiziato, il 15 gennaio 2011, secondo i responsabili della prigione centrale di Orumieh, nel Kurdistan iraniano, ma, secondo il proprio avvocato e la propria famiglia, l’esecuzione aveva avuto luogo, il 5 gennaio. Era l’ottavo prigioniero curdo giustiziato dal 2007, per “presunti legami” con questa organizzazione.
Una udienza di dieci minuti
Mi chiamo Hossein Khezri. Sono nato a Orumieh, nel Kurdistan orientale (iraniano). Sono stato arrestato, nel 2008. Il 18 maggio 2009, sono comparso, per la prima e ultima volta, davanti al giudice della corte della rivoluzione di Orumieh. L’udienza si è aperta in presenza di un procuratore e di un agente della VEVAK (i servizi di informazione iraniani). All’inizio dell’udienza, la persona mandata dai servizi di informazione mi ha minacciato perché io non dicessi niente sulle torture. Io non ho avuto il diritto di difendermi durante l’udienza farsa di dieci minuti e sono stato condannato a morte. È stato un processo sospetto e illegittimo. Come avremmo potuto, io e il mio avvocato, difenderci in dieci minuti!
Una farsa, non una udienza
Io mi sono sempre posto questa domanda:
“È possibile che questa farsa sia messa in scena perché “il criminale” è presente in aula e la sua condanna a morte è pronunciata davanti a lui?”
Per me, questo spettacolo comico è stato realizzato unicamente per questo.
Durante l’udienza, ho detto al giudice, di nome Darvish, che rigettavo la maggior parte delle mie deposizioni, perché mi avevano obbligato a firmarle sotto torture psicologiche e fisiche indescrivibili. Nonostante le mie insistenze, il giudice non mi ha ascoltato e ha pronunciato la pena di morte.
La condanna è stata confermata, il 2 agosto 2008, dalla corte suprema della giustizia iraniana. Questa decisione mi è stata notificata, l’8 agosto, nella prigione di Orumieh.
Io sono stato privato di tutti i miei diritti
Innanzitutto, vorrei dire che ho cercato di beneficiare di tutti i diritti previsti dalla legge e ho avanzato istanze alle autorità per impedire questa ingiustizia, prima della notifica della decisione. Ho raccontato delle torture inumane che mi erano state inflitte e ho sporto denuncia contro le pratiche illegali, inumane... questa denuncia è stata inoltrata dalla corte di Orumieh alla corte suprema. In seguito alla mia denuncia, sono stato convocato, il 7 agosto 2009, dalla ottava camera della corte. Ho raccontato delle torture e dei trattamenti inumani e ho, anche, presentato il rapporto medico, che confermava le torture, ma la corte ha ignorato quello che ho detto. Tutte le mie istanze, a norma di legge, sono state respinte. Il 2 febbraio 2010, ho presentato alle autorità il mio rapporto accompagnato da una lettera, ma la corte ha rifiutato, ancora una volta, e sono stato consegnato ai servizi di informazione di Orumieh.
Io non ho mai accettato di divenire un informatore
Per tutto il tempo, nella prigione centrale di Orumieh, sono stato, spesso, minacciato. Mi minacciavano di morte per la denuncia sporta contro di loro. Volevano che confessassi davanti alle telecamere. Volevano anche che smentissi le torture. E, in cambio, mi promettevano la revisione del processo e la commutazione della condanna a morte. Tali erano i loro atteggiamenti nei miei confronti, ma io non ho mai accettato di divenire un informatore.
Chi è il responsabile della morte di mio padre?
La mia famiglia era molto preoccupata per me. Le forze dell’ordine volevano che la mia famiglia vivesse nella paura. Mio padre si era recato presso i servizi di informazione, a Orumieh, per avere notizie del mio caso, ma aveva ricevuto risposte false e contraddittorie. Mio padre, che voleva avere notizie delle mie condizioni, è morto per la gran pena, di una crisi cardiaca davanti all’edificio dei servizi di informazione. La morte di mio padre è un crimine in più della repubblica islamica d’Iran. E stato un duro colpo per la mia famiglia. La morte di mio padre, in questo modo, è stata cento volte più pesante per me della mia esecuzione.
Chi è il responsabile della morte di mio padre?
Dio lo sa!
Dopo la sua morte, in luogo delle condoglianze, le autorità hanno fatto il contrario e mi hanno trasferito nella prigione di Qazvin (una città dell’Iran situata a ovest di Tehran). Mio padre non era al corrente di questo trasferimento. Per più di cento ore le mie mani e i miei piedi sono stati legati e i miei occhi bendati. Mi hanno detto che era giusto un cambiamento di luogo. Immaginatevi la situazione di un uomo che ha perso suo padre...
Io non ho aderito ad alcuna azione armata
Lo Stato iraniano, la procura e la corte mi considerano un mohareb (nemico di Dio). È il motivo della mia condanna. Io non ero armato, al momento del mio arresto perché facevo attività politica, ma è, per questo motivo, che sono stato arrestato. Io non ho aderito ad alcuna azione armata contro lo Stato iraniano. A Kermanshah (una città nel Kurdistan iraniano), sono stato tenuto, per otto mesi, in una cella. Ho subito torture fisiche e psicologiche ad al-Mahdi, l’edificio dei servizi di informazione, nella città di Orumieh.
La morte era meglio che vivere
Ho tentato, due volte, il suicidio per le torture e i maltrattamenti inumani che mi hanno inflitto, ininterrottamente, negli otto mesi di isolamento totale. Morire era meglio che vivere. Immagino che sia raro vedere una persona sola in una cella subire, continuamente, torture e non avere contatti con la propria famiglia e il mondo esterno per tutto il tempo!
È ora evidente che sarò giustiziato. Credo che la mia esecuzione possa avvenire a ogni istante. Anche in questi ultimi giorni, mi impediscono di raccontare, liberamente, delle torture subite e delle mie condizioni di salute.
Fate sentire le nostre voci
In queste condizioni di isolamento e di repressione intensiva, faccio un appello alle istituzioni internazionali, alle organizzazioni dei diritti umani e, in particolare, a coloro che si battono per i diritti dei prigionieri:
“Fate sentire le nostre voci soffocate, la voce dei prigionieri in Iran, all’umanità.”
Traduzione di Daniela Zini
Copyright © 1 agosto 2011 ADZ
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