a mia sorella Maryam Majd, 25 anni
fotografa-giornalista detenuta nel carcere di Evin, a Tehran
Carissima Mary,
che tu sia a un passo da me o altrove, io ti sento.
Daniela
LETTERA APERTA AD ALI KHAMENEI
di
Daniela Zini
“Il femminismo non ha mai ucciso nessuno,
il maschilismo uccide tutti i giorni.”
Benoîte Groult
Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:
Bani Adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.
To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand Adami.
I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.
Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.
Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.
To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand Adami.
I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.
Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.
Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.
Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan
traduzione dal persiano di Daniela Zini
Quel 12 giugno 2009, Satana ha usurpato il potere con lo stupro, la tortura e l’assassinio.
Che cosa può trarre di positivo un maschio dalla arrogante presunzione di appartenere a una casta superiore soltanto perché nato maschio?
“Quello che gli pende lo difende.”
Quando da bambine facciamo la scoperta di avere “qualcosa in meno” dei maschi, nessuno ci rassicura sul valore del nostro sesso, perché nessuno ci crede. Non ci crede nostro padre, tanto meno nostra madre. Non ci credono gli uomini, ma neppure le donne. Tra le donne, infatti, non esiste l’orgogliosa solidarietà di sesso che esiste tra gli uomini: mentre il “noi uomini” ha il significato di un orgoglioso trionfo di coloro che appartengono a un gruppo privilegiato, “il noi donne” ha il tono recriminatorio degli oppressi. Nessuna donna vorrebbe, seriamente, essere un maschio e possedere il pene, ma la maggior parte delle donne desidererebbe avere i privilegi e le possibilità che sono legati al fatto di possederlo.
Io non ho fatto l’esperienza del freddo e della fame.
Io non ho subito la tortura.
Io non ho conosciuto la schiavitù.
Io sono una privilegiata.
Io ho potuto, per nascita, educazione e caso, in certa misura, sfuggire alle pressioni della società.
Un uomo o una donna che scrive non appartiene più al suo sesso!
Sfugge perfino all’umano.
All’origine della mia scrittura vi è il ricordo di una rivoluzione.
Inteso, in senso storico, intellettuale e, astrattamente, etico, il mutamento – di stato, di regime – ha sempre una “ragione efficiente”, che non è riconducibile al semplice evento, che, anzi, è radicata tanto lontana da esso da apparire una guida remota e sicura di ogni scelta umana. Considerata con lungimiranza, tale “ragione efficiente” si eleva al di sopra delle contingenze politiche o geografiche e si afferma come “coscienza di un’altra vita”, come “aspirazione segreta verso la divinità”. Per analizzare una trasformazione così profonda da coinvolgere la vita di tanti uomini, implicandoli, uno a uno, in un nuovo ordine sociale, occorre uno sguardo non solo curioso, ma anche critico.
Chi interroga la storia deve, allo stesso tempo, mettere in questione se stesso.
Il mutamento quale esso sia, non appartiene solo al passato, alla casualità, anzi la sua natura è trascendentale: solo la coscienza è in grado di legittimarlo e di erigerlo a principio. Il sovvertimento politico, qualora se ne ricerchino le origini, si rivela di natura morale e, in ciò, coinvolge direttamente l’individuo.
Letteratura e potere non sono mai andati d’accordo.
Il potere è dalla parte dell’ordine e della responsabilità, la letteratura dalla parte del disordine e dell’irresponsabilità.
Il potere comanda, la letteratura disobbedisce.
Il potere inclina per sua natura alla perpetuazione, la letteratura al rinnovamento.
Rifiutando il passato, o più esattamente, legandosi al momento presente, nella sua qualità essenziale, fugace, il moderno respinge la tradizione, si lega alla sensazione dell’hic et nunc.
In una cultura patriarcale, che pone quali valori essenziali, da una parte, la supremazia dell’individuo di sesso maschile e, dall’altra, l’inferiorità dell’individuo di sesso femminile, è comprensibile che sia, rigorosamente, vietato mettere in discussione il prestigio dell’uomo perché ciò porterebbe, fatalmente, allo sgretolamento del suo potere.
Le credenze di varia natura relative alla maternità, da quelle più remote a quelle contemporanee, hanno, sempre, avuto la particolarità di attribuire all’uomo i meriti, la parte predominante nel processo di riproduzione e alla donna i demeriti e la parte secondaria. Aristotele affermava che l’embrione umano si sviluppasse da un coagulo del flusso mestruale, in altri termini, che la donna fornisse il materiale informe e l’uomo avesse il ben più nobile compito di dargli una forma. E il suo era, già, un punto di vista illuminato, perché la maggior parte dei suoi contemporanei sosteneva che la donna non contribuisse con nulla di suo al concepimento di un essere, eccettuato il nutrimento del seme, che era fornito dall’uomo.
Le radici della nostra individualità sono profonde e ci sfuggono perché non ci appartengono, altri le hanno coltivate per noi, a nostra insaputa. La cultura cui apparteniamo, si serve di tutti i mezzi, a sua disposizione, per ottenere dagli individui dei due sessi il comportamento più adeguato ai valori che le preme conservare e trasmettere. E, per quanto sia le donne sia gli uomini siano stati allevati in modo autoritario e repressivo e, quindi, ripropongano, nella loro veste di educatori, gli stessi valori che hanno ricevuto, è certo che questo tipo di educazione abbia pesato molto più sulle donne.
Essere donna, italiana, scrittrice, che cosa significa tutto questo?
Per rispondere, bisognerebbe prima di tutto sapere che cosa rappresenta, storicamente, il momento che io sto vivendo.
È un anteguerra o la vigilia di grandi rivoluzioni che liquideranno il sistema?
I giovani di oggi vedranno l’avvento di un vero socialismo o il trionfo di una tecnocrazia che perpetuerà il capitalismo o una forma di società diversa da tutte quelle che posso immaginare?
Queste domande restano senza risposta.
Considerata la nostra miopia quando si tratta di valutare la nostra civiltà, i suoi errori, le sue probabilità di sopravvivenza, e l’opinione che ne avrà la posterità, non abbiamo, certo, il diritto di stupirci che i romani del III o del IV secolo si siano contentati, fino alla fine, di vaghe meditazioni sugli alti e bassi della Fortuna, invece di interpretare, con maggiore chiarezza, i segnali di morte del loro mondo.
Non vi è nulla di più complesso della curva di una decadenza.
Spesso mi chiedono:
“Che cosa si può fare?”
Spezzare la catena di condizionamenti, che si trasmette, pressoché, immutata da una generazione all’altra.
I pregiudizi sono, profondamente, radicati nel costume: sfidano il tempo, le rettifiche, le smentite, perché presentano un’utilità sociale. L’insicurezza umana ha bisogno di certezze e questi ne forniscono. La loro stupefacente forza risiede proprio nel fatto di non essere ammanniti a persone adulte che, per quanto condizionate e impoverite di senso critico, potrebbero averne conservato abbastanza per analizzarli e rifiutarli, ma di essere trasmessi, come verità indiscutibili, fino dall’infanzia e mai rinnegati, successivamente. L’individuo li interiorizza, suo malgrado, e ne è vittima sia chi li formula e li mantiene in vita contro l’altro, sia chi ne viene colpito e bollato. Per confutarli e distruggerli occorre non solo una notevolissima presa di coscienza, ma anche il coraggio della ribellione, che non tutti hanno. La ribellione suscita ostilità e condanna chi tenta di sovvertire le leggi del costume, più profonde e più tenaci delle leggi scritte, può essere l’ostracismo, l’emarginazione sociale.
E dove mai le donne, impoverite, programmaticamente, di coraggio proprio dall’educazione che viene loro impartita, potrebbero trovarne per opporsi ai pregiudizi che le riguardano?
Il loro senso di inferiorità, di insicurezza, la convinzione che è giusto che siano loro a pagare il prezzo più alto, perché in cambio ottengano considerazione e rassicurazione, ne fanno delle vestali timorose di cambiamenti, anche quando tornino, a lungo termine, a loro vantaggio.
Credere nella vita, è credere negli altri.
Non tutti gli altri, naturalmente, ma se ci assumiamo le nostre responsabilità di fronte alla vita, possiamo trovare degli alleati.
Essere insieme diviene una necessità assoluta.
Davanti allo scandalo della sofferenza, dell’ingiustizia, del male, io resto muta come Giobbe.
Fare il proprio mestiere di UOMO, è, in certi momenti, assumersi il rischio di esporsi, rinunciare, in parte, a se stessi davanti alle miserie che ci circondano. Molte donne e molti uomini si assumono questo rischio per servire gli altri. A loro modo, oscuramente. In effetti, lo so per esperienza, si è spinti, quasi portati.
Il cammino di ogni vita è lastricato di UOMINI. Non è un cammino nel deserto. È un cammino tra milioni di individui, di cui, sovente, ignoriamo le ricchezze nascoste. A volte, cogliamo un frutto inatteso. Altre, da più di uno, anche sconosciuto, siamo colti a nostra volta.
Incontrare “veramente” UOMINI è stata una delle opportunità della mia vita. Mi ha dato la possibilità di trovarmi tra la gente, di parlare alla gente.
La scrittura può condannare alla solitudine!
Io ho sempre du mal a rispondere alla domanda sugli incontri che più mi hanno segnata. Le persone importanti che ho incontrato nella mia vita non sono mai state per me dei modelli. Ma mi hanno chiarito sulle diverse sfaccettature della mia personalità e mi hanno forzato a disperdermi meno, a concentrarmi. Mi hanno foggiata alla maniera del colpo di pollice impresso nella creta da modellare.
All’éveil de ma vie, vi è mio padre, l’essere di mio padre, il suo modo di essere. La sua presenza era come quelle lampade basse, dolcissime, che rischiarano appena, ma il cui chiarore non permette che sia troppo buio o che si sia veramente soli. Per lui la conoscenza assumeva un significato soltanto attraverso il vissuto. In questa teoria pedagogica, molto sorprendente per la mia epoca, si può scorgere la volontà di mio padre di impartirmi quella educazione di cui lui non aveva beneficiato e che, per puritanesimo, era preclusa ai miei coetanei e il suo desiderio di evitarmi ciò che lui aveva patito a causa della severità clericale: il soffocamento. Questa permissività corrispondeva, effettivamente, agli ideali di mio padre, alla sua fede nell’universalità dei valori dello spirito, alla negazione di ogni fondamentalismo.
La morte non mi spaventa: non vorrei, tuttavia, morire oscuramente e, soprattutto, inutilmente. Adesso so, avendola vista da vicino, essendo stata sfiorata dalla sua ala nera e gelida, che, quando si avvicina si prova un assoluto distacco, una rinuncia definitiva alle cose di questo mondo. Da quel giorno, la morte – quella degli altri e la mia – significa per me che loro sono altrove, che io sarò altrove. Questo mi fa sentire vicina a quelle persone, si direbbe, smarrite tra la folla del tempo perduto. Non ho mai provato un senso di annientamento. Forse, perché il destino mi ha risparmiato le morti atroci, non ho conosciuto l’orrore vissuto dai prigionieri nei campi di concentramento, né l’inferno dei combattimenti sotto la mitraglia. Le morti, di cui sono stata testimone, mi sono, sempre, apparse come un compimento. So anche che ho nervi e volontà in grado di resistere alle grandi prove personali e i miei avversari non vedranno mai in me né vigliaccheria o paura.
Vi è, nondimeno, dal punto di vista dell’avvenire, una cosa che mi spaventa: sono, assolutamente, disarmata contro le avversità che potrebbero colpire le persone a me care; contro di esse sono di una debolezza spaventosa, tutta la sicurezza mi abbandona e divengo vulnerabile come una bambina.
Se la mia vita è un ricorrente interrogativo, è perché una certezza alberga in me:
“L’INFINITO È AMORE E L’AMORE È INFINITO.”
A lungo, gli UOMINI hanno pensato di essere soli; oggi, noi sappiamo che, al di là della nostra galassia, possono esistere mille miliardi di altri cosmi nei quali, logicamente, dovrebbero trovarsi esseri liberi, anche se non necessariamente simili. Hanno quel qualcosa senza il quale tutto sarebbe assurdo. Se esistono, vengono, come noi, dall’AMORE e questo AMORE è loro destinato proprio come il nostro.
L’AMORE.
Che cosa significa?
Questo termine, da solo, va al di là di ogni nostra capacità di misura o di calcolo. Tutte le parole, per quanto siano sacre e preziose, si consumano con il tempo. Usiamole, con cautela, o rischieremo di cogliere solo una piccola parte di quello che vogliono dire: è necessario servirsene, precisando sempre il loro significato. L’AMORE appartiene a quel genere di vocaboli di cui si sente parlare molto, ma che evoca, spesso, un concetto più banale che sacro. Dunque, ogni qual volta, sentiamo una parola importante, abbiamo il dovere di chiederci sempre:
“Di cosa si tratta?
Qual è il suo significato primario?”
Quando chiedo:
“Che cosa è per te amare?”,
sono impressionata dalla frequenza con cui il verbo amare venga associato al verbo perdonare. Il perdono è un dono perfetto, più che un dono in sé. È anche un impegno e l’AMORE dà la forza di rimanere fedeli.
Il perdono, sì sempre.
Ma non dimenticare.
E per non dimenticare, dobbiamo, a nostra volta, far conoscere la verità. Noi abbiamo questa responsabilità. Ma, per essere ascoltati, bisogna essere credibili. E, per essere credibili, bisogna essere competenti, sperimentare, avere, già, sperimentato. Solo, così, si potrà proclamare, a voce alta, ed essere ascoltati.
In situazioni terribili, quali gli stupri, le torture o gli assassini, come trovare la forza di perdonare?
Il perdono non si decreta, risulta da una lenta maturazione che permette di prendere le distanze da un passato di sofferenze. Appare al termine di un lavoro personale sulle ferite, che può prendere la forma di una psicoterapia, nella quale si deve, sovente, ridiscendere fino al bambino che si è stato. Presuppone per la vittima che tutte le ferite siano cicatrizzate. Solo allora il perdono diviene possibile.
Se si prova sofferenza, rabbia e desiderio di vendetta verso qualcuno, senza osare dirglielo, si vive in una distorsione di relazioni che rende l’AMORE impossibile. Per riappropriarsi dell’AMORE, bisognerebbe potergli dire il torto che ci ha causato, al fine di restituirgli quel male che non ci appartiene.
Le scrivo, dunque, aqa-ye Khamenei, per quelle centinaia di persone disperse brutalmente, ogni giorno, che non si rassegnano a reclamare i propri familiari e i propri amici dispersi.
Non ho potuto farlo prima, ma “me ne assumo, io, il rischio”, oggi.
Dall’arresto di Maryam, mi sono sentita addosso il peso dei muri grigi della sua prigione…
Mi sono sentita triste, infinitamente triste…
Mi pesava, soprattutto, non poter esprimere tutto il pesante fardello di idee e di sensazioni che popolavano il solitario silenzio della mia anima e che, spesso, mi procuravano una dolorosissima angoscia. E, adesso constato, senza possibilità di dubbio, che il fascino da noi attribuito a talune regioni della terra è solo inganno e illusione. Finché l’aspetto della natura che ci circonda corrisponde al nostro stato d’animo, ne vediamo lo splendore, la bellezza particolare… ma, il giorno in cui la nostra effimera anima cambia, tutto crolla, svanisce.
E, così, sarò condannata a portare con me, per sempre inespresse, la mia infinita tristezza, tutto un mondo di pensieri, attraverso i paesi e le città della terra, senza mai trovare la Persia sognata!
È un destino essere iraniani o volerlo essere…
Mi si accusa di essere, allo stesso tempo, “di destra” e “di sinistra”, “filo-imperialista” e “filo-islamica”.
Ne sorrido.
Destra, sinistra, filo-imperialismo, filo-islamismo, sono parole vuote per me.
La mia scelta è di mostrare la realtà qual è e di far cogliere le priorità.
A chi qualifica di islamofobia o di appoggio all’imperialismo ogni critica all’Iran, come il presidente venezuelano Hugo Chavez, domando dove sia stato in questi ultimi trenta anni. Gli eventi, dopo le elezioni del 12 giugno 2009, mostrano la determinazione degli iraniani a finirla con una dittatura integralista che, pur di conservare il potere, sbarra loro ogni avvenire e li soffoca con pregiudizi medievali, la negazione dei diritti democratici, la violenza, la misoginia, la censura, la tortura e, perfino, l’assassinio legalizzato e santificato.
Nessun Dio nell’universo giustificherebbe tutto ciò.
Mahmud Ahmadinejad è stato obbligato ad ammettere l’esistenza di abusi nelle prigioni, ma lo stupro continua a essere utilizzato come arma contro gli oppositori, che siano donne o uomini, perché?
Invano, cerco, in fondo al mio cuore, odio per questi uomini: non vi è odio e ancora meno disprezzo per chi è nato cieco alla bellezza di un tramonto o alla bellezza di una notte stellata.
Lo sguardo pieno di vergogna sul proprio sesso lordato.
Loro lo ignorano.
Il rigetto dell’AMORE, che si crede di non poter più meritare.
Loro lo ignorano.
Il dolore, che brucia le mani quando si tocca la propria pelle.
Loro lo ignorano.
Le grida, che squarciano la notte.
Loro le ignorano.
L’insopportabile riflesso di sé allo specchio.
Loro lo ignorano.
Che ne sanno loro?
Loro...
Fino dai primi giorni della repubblica islamica, lo stupro è stato usato come strumento di tortura e di intimidazione, grazie ai documentari di Pantea Bahrami e di Reza Allamehzadeh, si dispone su Youtube della testimonianza di militanti iraniane stuprate in carcere, una ventina di anni fa (http://www.youtube.com/watch?v=GC9fi6d6O7c&feature=related, http://www.youtube.com/watch?v=_vTM3MyzcsM, http://www.youtube.com/watch?v=SiHxt4-Gn6o&feature=related, http://www.youtube.com/watch?v=S4_4NhfO6Ik).
Secoli di valori e di relazioni non si inabissano in una notte, ma, nella società iraniana, si osservano cambiamenti strabilianti, soprattutto nelle relazioni tra i due sessi.
E chiunque soffra nella sua lotta contro il regime è un UOMO.
Tutti gli stupri sono gravi attacchi ai diritti umani. Ma l’esazione prende un significato in più, quando lo stupratore è una autorità pubblica.
Questo regime si batte, ormai, per la sopravvivenza e non ha limiti.
E, come in ogni stato totalitario, ha addestrato esseri umani disumanizzati per farne armi decisive, efficaci ed efficienti.
Sono, naturalmente, ben colpevoli.
Ma su altri grava la responsabilità di questi crimini.
Si impone che l’attenzione portata dalla comunità internazionale sull’Iran non sia, unicamente, ristretta alle sue installazioni nucleari, ma anche ai diritti umani del suo popolo.
Tutte le difficoltà presenti, sia nella dimensione interplanetaria, sia sul piano della politica delle singole nazioni, si riconducono, in ultima analisi a questo problema: dobbiamo esigere di conoscere il più possibile. Questo è ipotizzabile, comprendendo la realtà del mondo in cui viviamo. Lo impone, oggi, una UMANITÀ, per la prima volta, unita e solidale.
Bisogna confrontarsi con questa idea!
Ma l’UMANITÀ è veramente unita e solidale?
Da cosa lo deduco, dal momento che si parla ancora di terzo mondo e di paesi sottosviluppati?
Più nessuno, ormai, potrebbe osare dire:
“Noi non lo sapevamo.”
Si muore di fame, qui e là UOMINI si scannano, ma noi non potremmo più scusarci, dicendo:
“Noi non eravamo al corrente.”
In nome degli ideali più puri si costruiscono le migliori cattedrali, le migliori moschee, le migliori sinagoghe e le migliori pagode, ma, se gli ideali proposti non vivono nel nostro animo al servizio di ciascuno di noi, sono destinati a essere traditi. E le belle cattedrali, le belle moschee, le belle sinagoghe e le belle pagode si trasformano in vuote conchiglie.
Con la minaccia della distruzione del pianeta, con la mondializzazione dell’economia, un altro UOMO è nato.
A chi è sulla soglia dell’età adulta, io dico:
“Coraggio. Assumetevi i vostri rischi!”
Per cecità da una parte, per impotenza dall’altra, le soluzioni della disperazione sembrano essere le sole adottabili e realistiche. Il vecchio mondo da qualsiasi lato si guardi appare nel suo letto di morte, non vediamo intorno a noi che diffidenza, incertezza e fanatismo.
Certi mezzi di comunicazione e di massa al servizio di interessi, più o meno mascherati, hanno rovesciato sul mondo, con visioni e rumori fantomatici, un oppio dei popoli più insidioso di quello che nessuna religione sia mai stata accusata di diffondere. Una falsa abbondanza, dissimulando l’erosione crescente delle risorse, ha distribuito cibi sempre più adulterati e divertimenti sempre più gregari, panem et crcenses di società che si credono libere.
Il sangue ha ripreso a scorrere.
Viviamo sotto il regime della grande paura.
Per decine di milioni di UOMINI la fame e la disperazione sono più che una paura, sono la realtà della vita quotidiana. A questi UOMIMI che se ne vanno tristi, con l’occhio spento, il viso madido di sudore, verso le Geenne oscure, dove le sofferenze non hanno testimoni e i lamenti non hanno eco, io vorrei aprire un passaggio, attraverso le brume della nostra coscienza, affinché sia concesso il posto che loro spetta.
Ricordo che, nella scena finale del film Les visiteurs du soir (I visitatori della sera) (http://www.youtube.com/watch?v=GFidllHmius&feature=related, http://www.youtube.com/watch?v=LHL1X9V1-Cw&feature=related), Satana trasforma i due innamorati in statua, ma, subito, sente un rumore.
È il loro cuore che batte.
Sferza rabbiosamente la statua e ripete:
“Batte, batte, batte…”
Quel cuore, è “il cuore della rivoluzione”, quel cuore scriveva Jacques Prévert “al quale niente… nessuno può impedire di abbattere coloro che vogliono impedirgli di battere… di battersi… di battere”.
E, se solo vi porgessimo attenzione, potremmo sentirlo anche noi.
Daniela Zini
Copyright © 4 luglio 2011 ADZ
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