LETTERE DALL’IRAN
Oggi vi propongo la traduzione della:
IINTERVISTA ALLA MADRE DI MAJID TAVAKOLI
Signora Tavakoli quando ha avuto notizie di suo figlio l’ultima volta?
Io non ho notizie di mio figlio dallo scorso gennaio (gennaio 2010). Non gli è concesso di telefonare. Suo padre e io siamo malati. Il viaggio alla prigione di Rajai Shahr è lungo e non possiamo andare a trovarlo. Non abbiamo notizie sulle sue condizioni fisiche e psichiche da settembre, quando suo fratello gli ha fatto visita.
Le autorità sanno che lei e suo marito siete malati?
Sì, sanno che siamo malati e non possiamo affrontare un viaggio di diciassette ore.
Le autorità vi hanno spiegato le ragioni del divieto delle telefonate e del rifiuto di un permesso?
A metà gennaio, ci hanno fatto sapere che Majid non aveva più accesso al telefono. Ne sono rimasta profondamente addolorata. Ho contattato la prigione, più volte, ma mi hanno detto che i telefoni erano staccati e che nessuno rispondeva. Ho supplicato loro, più volte, e ho, anche, spiegato loro che le nostre condizioni fisiche non ci permettevano di viaggiare. Ho chiesto loro di poter almeno sentire la voce di mio figlio, anche per pochi minuti. Ma hanno rifiutato di rispondere a una madre sofferente dal cuore affranto. Che dire? Sono una madre e vorrei vedere mio figlio.
Ha qualche speranza di avere accanto suo figlio per il Nouruz (Capodanno persiano)?
Speriamo più di un permesso per nostro figlio. Aspettiamo la sua completa liberazione. E, nel caso in cui sia liberato, che gli diano, almeno, un permesso per passare il Nouruz in famiglia.
Come madre privata di vedere suo figlio e di sentirne la voce da mesi, che vorrebbe dire alle autorità giudiziarie?
Per dei genitori malati, privati della vista del proprio figlio da sedici mesi, chiedere che gli venga accordato un permesso non è troppo. Noi non siamo soli ad averne fatto richiesta. Tutte le famiglie dei prigionieri politici vorrebbero vedere i propri cari in famiglia per il Nouruz. Spero che li liberino tutti per mettere fine a questa situazione difficile. Spero che liberino i nostri cuori da questa angoscia. Se uno dei responsabili ascoltasse la mia voce, poiché il padre di Majid e io siamo malati, gli chiederei di permettergli, almeno, di venire a casa. È un diritto dei prigionieri politici e delle loro famiglie. Io vorrei riuscire a spiegare la sofferenza del mio cuore per far comprendere cosa stiamo passando. Piango giorno e notte. Majid mi manca terribilmente. Nouruz si avvicina. Tutti sono felici e contenti. Mentre la nostra casa è piena di tristezza, di nostalgia e di apprensione. Neppure l’anno scorso, Majid era con noi. Non ci siamo curati di preparare gli Haft Sin (Sette Sin) né di festeggiare il nuovo anno. Mi sono contentata di fissare la foto di Majid e di piangere. Sono restata accanto al telefono nella speranza di sentire la voce di Majid, ma il telefono è rimasto muto e non ho avuto la possibilità di sentire la voce di mio figlio. Non potete immaginare quanto sia difficile attendere, soprattutto per una madre, lo sguardo fisso alla porta e l’orecchio teso al telefono. I giorni e le notti scorrono e noi continuiamo ad attendere. Chiedo a chiunque ascolti le mie parole un atto di clemenza e di permettere a Majid di vedere suo padre e sua madre malati. E chiedo a Dio di concedere felicità alle famiglie dei prigionieri politici e ai loro cari che sono detenuti.
La ringraziamo di averci concesso questa intervista e auspichiamo il giorno in cui tutti i nostri cari detenuti siano liberati.
Traduzione di Daniela Zini
Copyright © 28 luglio 2011 ADZ
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